Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 6 (4°) Fabbrica d'Armi
Nel
lungo periodo passato a Mongiana, Savino riprogettò anche la maggior parte
degli edifici dello Stabilimento: la “Casa del Comandante”, la Caserma e
la Fabbrica d'Armi (1852), attribuita spesso erroneamente al Tonson Latour (17),
direttore in quegli anni della Real Fabbrica. L'interesse
di quest'ultimo edificio si fonda su diversi aspetti. Innanzitutto il fronte,
con la trabeazione interamente in ghisa, composta da due colonne imponenti, alte
ben 4,80 metri, e dall'architrave istoriato. Poi l'articolazione dell'atrio:
due colonne e quattro semicolonne ancora in ghisa, alte la metà di quelle esterne,
compongono una specie di serliana “spaziale”.
L'uso
della ghisa nell'edilizia corrente, intorno al 1850, in Italia era ancora raro;
essa era stata adoperata negli anni '20 ma in eccezionali realizzazioni come i
ponti sospesi del Giura, nel napoletano, sui fiumi Garigliano e Volturno,
certamente non meno interessanti delle analoghe opere inglesi e francesi, anche
se più spettacolari, come i famosi ponti sul Menai di Thomas Telford. La ghisa
era stata impiegata ancora, nel napoletano, per realizzare coperture a pensilina
o per la costruzione di serre, come quella dell'orto botanico di Napoli. Di poco
posteriore alla Fabbrica d'Armi della Mongiana, e anch'essa con colonne in
ghisa, è la chiesa protestante del complesso tessile di Cologna, nel
salernitano (1860).
In
confronto a quanto realizzato in Inghilterra, dove nel 1796 Charles Bage aveva
già costruito una fabbrica di cinque piani con struttura interamente metallica
che reggeva voltine in mattone, questi tentativi appaiono davvero troppo
timorosi (18). La
Fabbrica d'Armi di Mongiana non può dunque aspirare ad alcun “primato”, tra
i tanti collezionati dai Borboni... La sua trabeazione in ghisa, comunque, le
conferisce un posto, per modesto che sia, nella storia della architettura del
ferro in Italia. Essa
contribuì soprattutto a sperimentare le possibilità espressive della ghisa,
poiché sul piano strutturale alcune valutazioni ne riducono i meriti; infatti
la dimensione delle colonne risulta spropositata rispetto ai carichi che
portano, dunque il materiale fu adoperato con incoerenza.
D'altro
canto ciò che forse più stette a cuore al Savino non fu tanto dare
dimostrazione delle possibilità tecnologiche della ghisa - in definitiva già
rese evidenti da più ardite realizzazioni -quanto piuttosto un'esigenza che
potremmo chiamare “pubblicitaria”. Egli volle cioé mostrare, nella
facciata d'ingresso, cosa si producesse alla Mongiana, e con quali accurate
tecnologie. La fusione delle colonne fu realizzata in un getto unico per quanto
riguarda il fusto, e poi con getti separati per il capitello e per la base.
Vista la perfezione del risultato, se ne deve dare atto al Savino ed alle
maestranze della Mongiana.
Gli
elementi strutturali, resi ancora più monumentali dallo stile dorico, divennero
un elemento-simbolo di cui ancora si subisce il fascino. Anche
se oggi, per una pruderie linguistica, potremmo accusare il Savino di Kitsch,
se non addirittura di provincialismo, gli dobbiamo pur sempre riconoscere
dell'audacia, poiché introdusse uno spunto antiaccademico ed originale in uno
schema compositivo codificato. Inoltre gli stessi canoni del dorico sono
ampiamente “rivistati”: la colonna poggia su una base e non, come di regola,
direttamente sullo stilobate.
L'organizzazione
planimetrica della Fabbrica d'Armi costituisce un secondo motivo d'interesse,
per i dislivelli artificiali che sfruttano in ogni blocco di fabbrica la caduta
d'acqua. Un acquedotto in tubi di ghisa capta e convoglia l'acqua da una quota
superiore fino alla fabbrica, dove viene poi immessa in un condotto in parte sotterraneo
ed in parte elevato su arcate. Dal
livello inferiore a quello superiore venivano svolte differenti fasi lavorative,
e, non ultima, anche un'attività didattica; in fabbrica infatti erano
sistemati i locali della scuola per l'insegnamento gratuito ai figli degli
operai, con esami annuali presieduti da una commissione esterna.
I
dislivelli erano raccordati con rampe in luogo di scale per agevolare il
trasporto dei materiali che avveniva su carriole. Il cortile interno serviva da
deposito dei prodotti finiti, in attesa del loro trasporto ai vari depositi
militari. Questo
nucleo dell'intero complesso produttivo è quello oggi meglio conservato,
anche perché è stato continuamente abitato da privati che ne hanno in parte
rilevato la proprietà. Da questo nucleo comincia il progetto di
museo-territorio elaborato in accordo con la Amministrazione comunale di
Mongiana, con la Sopraintendenza ai Beni architettonici ed ambientali della
Calabria, e con il finanziamento della Regione Calabria.
Il
programma prevede, per questo blocco, il restauro conservativo e l'ipotesi di
una ristrutturazione a nuovo uso, con funzioni che riempiano quei vuoti
istituzionali e sociali di cui manca il paese, e che servano da elemento di
ritrovata identità storica e culturale per la popolazione. Verrà così
realizzato un museo per le antiche attività della Mongiana, di cui già si
conserva un interessante materiale che si spera possa aumentare con future
donazioni; si prevede inoltre la costruzione di una sala consiliare da adibire
anche ad altre attività (festa della montagna, festa degli emigranti, comunità
montana delle Serre, convegni); verrà poi creata una biblioteca comunale
specializzata in opere inerenti la fauna dei boschi e che servirà anche da
centro di lettura di testi di interesse più generale.
Questo primo nucleo costituisce, nelle intenzioni dell'Amministrazione, un polo intorno a cui si dovrà coordinare la salvaguardia di tutte le tracce, sparse su un vasto territorio, delle antiche attività di estrazione e lavorazione del minerale di ferro, e che dovrà necessariamente avere come ulteriore obiettivo la tutela del patrimonio naturale che permise quelle attività, cioé dei boschi e delle acque. Con un programma così articolato potrebbe concretizzarsi la possibilità di visite più articolate e non limitate al solo museo tradizionale, per una “museificazione” più dinamica che meglio faccia comprendere gli stretti legami che sono intercorsi tra ambiente ed attività produttive, alla stregua di iniziative analoghe quali “Le musée du fer et du charbon de Liége”, l'Eco-museo di “Boisdu-Luc”, “The Ironbridge Gorge Museum”.
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