Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 4 viabilità Ancora
agli inizi del secolo scorso in Calabria non era raro il caso di viaggiatori che
facevano testamento prima di mettersi in cammino. I pericoli da affrontare
erano diversi: lupi, briganti e la “selvaggia” natura appenninica. Ma anche
altri ostacoli preoccupavano chi si accingeva al viaggio: egli avrebbe dovuto
sostenere i disagi di una rete viaria molto tormentata e poco sviluppata. La
parte “percorribile” era limitata a pochi tratti. Nessuna trasversale che
non fosse poco più di una mulattiera collegava Ionio e Tirreno; per cui la zona
interna restava praticamente emarginata dal resto della regione. Né la stessa
fascia costiera era servita per intero da un'efficace asse di collegamenti
viari; si era perciò costretti ad effettuare gran parte dei trasporti per mare,
soprattutto quelli con Napoli, nonostante le incognite della navigazione. Dopo
il periodo murattiano che pure portò l'apertura di nuovi utilissimi
tracciati, soprattutto nella zona di Vibo Valentia (allora Monteleone), i
Borboni, spinti dal desiderio di avvicinare la Calabria a Napoli, memori dello
sbarco e del tentativo di sollevazione tentato da Murat, svilupparono il
tracciato che dalla capitale giungeva, via Monteleone, a Reggio Calabria.
L'opera fu complessa: la nuova arteria dové superare il gruppo montuoso del
Cilento e poi affrontare il passo di Lagonegro; da qui la strada risaliva ogni
volta che giungeva ad un centro abitato per poi ridiscendere nuovamente a
valle; e così fino a Monteleone, da cui tagliava definitivamente per l'interno,
evitando lo strapiombo della Costa Viola. Fino
agli inizi di questo secolo, la Calabria, nonostante i suoi 800 chilometri di
coste, si è sviluppata prevalentemente all'interno (Cosenza, Catanzaro,
Nicastro) su impianti e tracciati viari prettamente medioevali. Anche i
numerosi comuni che dal XII secolo in poi sorsero lungo le coste non cercarono
mai un contatto troppo stretto con il mare, tenendosene a distanza, come
elemento da temere, probabile portatore di pericoli. Questi
piccoli centri “costieri”, ancora alla metà dell'ottocento, erano collegati
all'asse di attraversamento interno con tortuose bretelle, e quindi tra loro non
avevano un contatto diretto (1). Sul
versante ionico i trasporti erano resi meno difficoltosi dalla costa
pianeggiante; comunque il tracciato ionico costituiva un'alternativa relativa
rispetto a quello tirrenico poiché, per raggiungere Napoli da Reggio, si
doveva superare l'intera catena appenninica per riguadagnare il Tirreno. Un'attività
industriale quale quella di Mongiana, intorno al 1820 ormai in fase di
assestamento e di crescita, non poteva non risentire di questo stato di cose
che le creava difficoltà sia per l'approvvigionamento dei materiali che per la
spedizione dei manufatti, soprattutto al deposito di Pizzo, da dove,
imbarcati, venivano spediti a Napoli. Ferdinando
II, sollecitato soprattutto dalle esigenze della Mongiana, finì per ampliare
un suo vecchio progetto del 1828 e, nel 1837, dette inizio al tracciato
Pizzo-Mongiana (2). A questa decisione non lo
spinsero tanto le suppliche dei vari direttori della Mongiana, né tanto meno
quelle dei molti sindaci dei comuni delle zone interne tra Serre e Tirreno.
L'occasione che determinò questa decisione fu la polemica “Zino-Del Re” che
in quegli anni dibatteva il costo eccessivo del ferro prodotto nel Regno (3).
Una volta presa la decisione di collegare la Ferriera di Mongiana al porto di
Pizzo, Ferdinando, sullo slancio, decise anche la realizzazione di un attraversamento
completo tra i due mari, scavalcando l'Appennino, in un punto che si presentava
favorevole, poiché la distanza in linea d'aria tra Ionio e Tirreno è poco
superiore ad una ventina di chilometri. L'entusiasmo
per questa decisione fu tale che, prima ancora che il progetto fosse ultimato,
l'intendente della Provincia della Calabria Ultra Seconda mise a disposizione
dell'opera circa 12.000 ducati, stornandoli da voci di spesa già previste per i
comuni di Tirolo, Gotrone, Nicastro e Tropea. I responsabili dello stabilimento
di Mongiana non potevano che rallegrarsi nel vedere il concretarsi di un
elemento di sicura propulsione per l'attività produttiva. La strada, quasi a
suggellare il suo scopo primario, fu denominata “Strada della Mongiana” Anche
le comunità montane inviarono ringraziamenti al Sovrano per la “bontà”
della decisione, la quale avrebbe finalmente alleviato l'isolamento cui erano
condannate. Ma
quando il tracciato di progetto fu ultimato e reso noto, la gioia di molti
comuni si trasformò in delusione cocente, ed intorno al tracciato si aprì una
polemica aspra. Gli scontri tra i sindaci furono violenti; le polemiche
degenerarono spesso in aperte accuse di favoritismi e disonestà. Nuove
suppliche, questa volta di tono risentito, furono inviate a Ferdinando, affinché
fosse rivisto il tracciato, considerato dagli esclusi come quello tecnicamente
più complesso ed oneroso. Di tutti loro si fece portavoce il sindaco del Comune
di Monterosso che, con l'unanimità del Consiglio comunale, inviò al monarca
una relazione-supplica molto puntuale. Comune
di Monterosso Verbale
di discussione del 19 settembre 1845 A
Sua Maestà Ferdinando II Essendosi
Sua Maestà in seguito dell'ultimo suo viaggio per la Calabria degnato ordinare
la costruzione della strada dalla foce fiume Angitola alla Marina di Soverato,
ha con ciò sempre piu dimostrato il costante suo desiderio mai disgiunto dal
forte volere di procurare a' suoi amatissimi sudditi tutti que' vantaggi dipendenti
dalle paterne Sue Cure. Il Consiglio quindi, a proposta del consigliere Basile,
onde meglio far corrispondere il risultamento allo scopo non reputa superfluo, né
tardi, il sommettere all'alta Sapienza della Maestà Sua, ch'essendosi dato
principio alla traccia della strada che dall'Angitola metter dovrà al Reale
Stabilimento di Mongiana, quest'accenna il suo andamento pei Comuni di San
Nicola e Vallelonga. E poiché le due strade han molta correlazione tra loro, il
Consiglio, per tutta la tal seduta e per le altre che appresso saranno meglio
sviluppate, si fa esporre le seguenti circostanze di fatto, quali potranno
determinare la sua mente e portare qualche variazione al piano dell'opera della
Mongiana già tracciata e così ottenere una maggiore solidità e durata
dell'opera stessa di quanto ne offre la già principiata. Maggiore aggevolezza e
comodità a più spedito e sicuro cammino. Il Risparmio considerevole di spesa
oltre il profitto qualunque sia si per la miniera di Piombaggine cui s'andrebbe
ad avvicinare la strada, mercè la bramata variazione la quale consiste nel
farla svolgere per lo Comune di Monterosso invece di quello di S.Nicola da
Crissa... (4). In
una relazione aggiunta alla supplica si sosteneva che il tracciato alternativo
a quello di progetto avrebbe evitato i molti burroni dell'altro, con la
costruzione di un solo grande ponte più alcuni piccoli “occhi di ponte”, e
che esso avrebbe avuto il vantaggio del Sostegno di una natura “a tufo e
scogliera”, più solida del terreno franoso in cui si sarebbe dovuto
realizzare quello previsto. Un'altra
petizione ancora, sotto il profilo tecnico molto dettagliata, fu inviata
all'Intendente della Provincia, il quale pensò bene di passare la patata
bollente più in alto. Il
Presidente dell'intendenza della Provincia ha ordinato lettura d'una supplica
del sig. Gio. Battista Massara diretta al Sig. Intendente della Provincia...
(il Consiglio) ad unanimità ha deliberato e delibera di non poter emettere un
voto sulle riflessioni contenute nella settima proposta del Consiglio
Distrettuale di Monteleone, e sul merito della supplica del Sig. Massara, e
perciò rimetterà originalmente questa, e quella per tenere all'Eccellentissimo
Ministro sullodato per quelle determinazioni di giustizia nell'interesse del
pubblico bene, che meglio converranno...
(5). Le
polemiche sul tracciato ebbero lunghi strascichi che si protrassero anche dopo
l'appalto dell'opera. L'amarezza di coloro che si vedevano ancora una volta
disillusi era tarda a sopirsi, al punto che le suppliche cominciarono a prendere
un tono inusuale e le critiche a divenire aperte e feroci. Sire, genuflessi
innanzi alla M. V., il Clero ed il Sindaco e Decuriato di Monterosso
in Calabria Ultra Seconda, col più profondo rispetto si umiliano, che si tradì
la verità con positivo danno anche del Real Tesoro e del pubblico bene dal
delegato ingegnere Signor Palmieri, per contentare i di lui superiori Signor
Pruggi, il quale fece di tutto per privata vendetta, onde questo Comune non ottenesse
il beneficio della strada che giungere deve i due man Tirreno e Ionio con
prolungarsi a' Reali Stabilimenti di Mongiana, perché esso Signor Pruggi, si
volle profittare di più cantaja di querce per fare il ponte sotto-acqua nel
fiume Angitola, ed il Sindaco di allora lo respinse con la forza onde non
farli abbattere, se non dietro estima e superiore approvazione. Da quell'epoca
in poi sempre un odio annidò nel suo cuore, e tradendo la fedeltà del Suo
Ministro, colse il tempo di sfogare la sua annosa vendetta nella circostanza
dell'ultima perizia ordinata dalla M. V. come dal pregevol ufficio del Signor
Direttore Generale di Ponti e Strade del 19 gennaio 1846, impegnandosi spesso il
ripetuto suo subordinato Signor Palmieri per l'alterazione de' fatti, onde
riuscire nel suo malvagio disegno……
Monterosso 16 aprile 1847 (6). A
vicenda ormai conclusa, e a “tradimento” perpetrato, i calabresi
“ingannati” tirarono fuori la loro durezza e dettero alla vicenda un
sapore tutto meridionale, di contrasti personali ai limiti della vendetta e
dell'odio duraturo. Eppure, per dirimerla, fin che si era stati in tempo, erano
stati tirati in ballo, tutti gli organi competenti, dal Direttore Generale di
Ponti e Strade al Sovrano stesso; ma il tracciato non fu mutato di un centimetro
da quello originario. La
strada progettata e poi realizzata dall'ingengnere Palmieri partiva dalla
confluenza del fiume Angitola con la carrozzabile per Pizzo.
Prima
dolcemente, poi con tornanti sempre più stretti, prendeva quota ed attraversava
S.Nicola da Crissa, per collegarsi alla dorsale che scende verso Soverato, sul
versante ionico. Da questo bivio, salendo ancora, attraversava Simbario, Spadola,
Brognaturo e giungeva a Serra San Bruno, di dove avrebbe dovuto poi raggiungere
Mongiana. Intorno
al 1850 parte dell'opera era stata ultimata, anche se essa non fu realizzata con
continuità. Il tronco tra Serra e Mongiana fu aperto più tardi, insieme al
tracciato che dal bivio di Arena si dipartiva per Monte Pecoraro, a quota 1.400
metri, da cui ridiscendeva verso lo Ionio, per collegare le Ferriere di
Mongiana alla Ferdinandea ed alle miniere di Pazzano. Lo stesso Marzolla nei
rilievi topografici e viari eseguiti in quegli anni (7)
dava come ultimato il solo tratto tra Pizzo e san Nicola da Crissa,
mentre segnava con linea tratteggiata, cioé come strada ancora in ultimazione,
il tratto tra San Nicola e Serra San Bruno.
I
percorsi aperti si valsero in piccola parte delle vecchie mulattiere; la
maggior parte di essi furono ottenuti aprendo nuove vie tra boschi e scavalcando
i numerosi ruscelli che obbligarono alla costruzione di un cospicuo numero di
ponti. I
trasporti ebbero un immediato impulso, sia per l'aumentata sicurezza, sia per
la possibilità di transito di veicoli più grossi; ciò significò una
riduzione dei tempi che non è esagerato valutare nell'ordine del trecento per
cento. L'opera
richiese una spesa complessiva valutabile in circa 200.000 ducati. Ma prima
ancora che si potessero avvertire per intero i benefici dei nuovi tracciati
realizzati e di quelli ancora da ultimare, un'altra opera non meno complessa
contribuì a migliorare la viabilità della zona tirrenica in uno dei suoi punti
nodali. Fu gettato un nuovo ponte sul fiume Angitola, più ampio di quello
murattiano, là dove partiva il nuovo tracciato per Mongiana, e dove era obbligo
di passaggio per Pizzo e Monteleone.
Anche
questo progetto fu elaborato dal Palmieri, e fu approvato con Real Decreto del
15 maggio del 1841. L'opera fu appaltata per 58.000 ducati, con un ribasso
d'asta del 21%, cioè per circa 46.000 (8). Nel
giro di cinque anni il ponte fu ultimato. La spesa complessiva, ad opera
conclusa, ammontò a 52.000 ducati circa, per il maggior onere che si sostenne
per le complesse opere di sottofondazione nel letto del fiume. Nei
primi tre anni si realizzarono i punti di fondazione ed i grossi piloni fino
all'imposta delle arcate; nei due anni successivi furono girate le nove arcate e
si terminò l'opera. Il
ponte è ancora lì a far bella mostra di sé, con un'architettura ben
proporzionata e dal disegno articolato, e sostiene un notevole flusso di
traffico, certamente più pesante e dannoso di quello che avrebbe dovuto
sopportare nelle previsioni di progetto. Nove arcate di circa 12 metri
spiccano sulle pile alte dai 5 ai 10 metri. Due slarghi agli estremi raccordano
molto bene la carreggiata del ponte alla viabilità.
L'opera
fu portata a termine con una tecnologia accurata soprattutto per lo studio di
malte appropriate, capaci di indurire anche nelle acque del fiume. “Occorse
perciò pensare alla composizione di uno di quei malti o bitume capaci di
prendere pronta e forte consistenza in acqua, epperò dopo aver consultato le
opere già eseguite da altri più accreditati costruttori, guidati anche dalla
esperienza acquisita in circostanze simili, essendosi con anticipazione, quasi
un anno prima, eseguiti vari tentativi ed esperimenti circa la scelta e le proporzioni
delle materie componenti un buon bitume, avuto anche riguardo ai materiali che
si potevano avere dal luogo, dietro il conforto de' risultati ottenuti dalle
molte esperienze, si poté stabilire, che il miglior bitume, e il più
conveniente alle circostanze locali sarebbe stato quello composto: di
malta formata metà calcina spenta e metà pozzolana grigia del Vesuvio parti
8 di
sabbione puro parti 3 di
frammenti granitici spezzati a martello a mò di brecciame parti 9” (9).
Per
aumentare la quantità delle opere realizzabili a secco, si decise di
abbassare il livello delle acque ricorrendo ad artifici: furono aperti diversi
canali nel letto del fiume, paralleli al suo corso, i quali permisero una
diminuzione del livello di circa un metro. Per il dimensionamento della platea: “si
dava la spessezza di palmi 8, ma per rimanere più tranquilli, tanto rispetto
alla qualità del suolo, quanto rispetto alla robustezza, dovendo la medesima appoggiarsi
sopra un suolo cedevole, ed offrire una resistenza nel senso della sua
spessezza, o per meglio dire resistere energicamente allo spezzamento, inteso
anche il parere dell'ispettore nel Ripartimento, che stava sul luogo, si
aumentava tale spessezza a palmi 9, e lo scavo si sprofondava per un altro
palmo. Alle pile si dava la spessezza di palmi 10, di palmi 13 alle due di
mezzo, e di palmi 13 alle spalle: spessezze un po' maggiori di quelle che
avrebbero determinato le teoriche per arcate di 40 pali di luce, ma le
richiedevano le esposte circostanze; anzi pel fine d'ingrandire le superfici che
premono sul masso della platea, si conformavano in giù a piè d'oca sporgenti
palmi tre da ciascuna faccia” (10). Ottenuta
così la sicurezza della struttura fino all'imposta, furono infine gettate le
arcate. La carreggiata superiore, adesso asfaltata, era un tempo lastricata
con bei basoli di lava del Vesuvio, posti a spina di pesce. Su questo ponte passò,
soddisfatto, Ferdinando II quando ritornò nel 1852 in Calabria. Durante
questo viaggio il Borbone promise anche la costruzione di una nuova strada, tra
Mongiana e la Ferdinandea.
Altri
problemi ancora legati alla viabilità erano irrisolti, e riguardavano
soprattutto l'approvvigionamento del materiale ferroso. L'alto costo di
produzione del ferro napoletano in genere e di quello di Mongiana costringeva
molte officine meccaniche private a valersi di ferro prodotto all'estero più a
buon mercato. A rendere il costo non competitivo contribuivano ragioni doganali,
quindi politiche, ma anche ragioni legate ad una carenza di efficienza
organizzativa, soprattutto nel sistema dei trasporti. Nella
ferriera di Mongiana l'incidenza del trasporto del minerale dalle miniere di
Pazzano agli altoforni era notevole, e finiva per rendere il ferro prodotto alla
succursale Ferdinandea, più vicina di soli pochi chilometri alle miniere, molto
più economico. Su
questa distanza si fondò la fortuna di alcune famiglie mongianesi che ebbero
in appalto il trasporto del minerale agli altiforni e che organizzarono il
lavoro dei mulattieri, sostituendosi alla Direzione degli stabilimenti e
continuando ad imporre il cottimo. Il
trasporto costituiva una preoccupazione costante per gli amministratori della
Mongiana che vedevano vanificati i loro sforzi per migliorare la tecnologia e la
qualità del prodotto da quest'onere che finiva poi per rendere il prodotto
poco richiesto sul libero mercato interno.
Bisognerà
dunque attendere il viaggio di Ferdinando del 1852 per porre riparo a questo
stato di cose che pure, dopo la apertura del nuovo tracciato viario per Pizzo,
era già migliorato e consentiva ora un trasporto dei prodotti in tempi molto più
brevi. Ferdinando
dunque promise la costruzione del tratto Ferdinandea-Mongiana ma non riuscì a
vedere terminata l'opera, né vi riuscì suo figlio Francesco. Eppure l'apertura
del nuovo tracciato lo avrebbe rallegrato molto, vista la sua passione
venatoria, poiché la Ferdinandea, oltre che fonderia, era anche un eccellente
casino di caccia, al centro di una riserva pullulante di cinghiali e fagiani. Frattanto
il monarca si accontentò di giungere a Serra San Bruno percorrendo quella nuova
arteria voluta nel 1837 e in parte ultimata. “(Il
Sovrano) è stato a visitare le fabbriche d'armi e le fonderie di Mongiana.
Adesso ritorna preceduto da una quarantina di operai muniti di zappa e strumenti
i quali passano davanti a noi di corsa cacciando grida di gioia e evviva
ripetuti: essi se ne vanno a lavorare alla
strada in
costruzione che deve
unire Serra a Pizzo...”
(11). Ancora
nel 1864, nella relazione sullo stato della Mongiana stesa per conto del
Ministero della Marina italiana, il Giordano si sofferma a descrivere la
viabilità e dice: “questa strada è tutt'ora imperfetta per mancanza di
alcuni ponti ed inoltre da qualche anno mal tenuta e poco praticabile ai
veicoli. Perciò la ghisa in pani e proiettili ed il ferro che da Mongiana si
spediscono a Pizzo, punto d'imbarco per Napoli, sovente vi si trasportano
tuttora a schiena di mulo seguendo il sentiero per S.Nicolò” (12).
Certamente
la costruzione della strada si dimostrò più complessa del previsto, e la cosa
in parte avvalora le proteste a suo tempo avanzate circa la scelta del
tracciato. Ma anche se fu realizzata con difficoltà, i segni sul territorio che
essa andava via via aprendo trasformarono il paesaggio e la fruibilità
dell'intera zona: le “Serre” furono riciclate nel sistema viario nazionale
grazie all'importanza dell'attività della Mongiana. Senza di essa, i centri
montani forse ancora oggi sarebbero in una situazione di isolamento. Gli
effetti della rivoluzione industriale determinarono in Calabria alcune
discriminazioni sull'assetto della rete viaria: il territorio fu ristrutturato
in base a parametri che privilegiavano il ruolo dell'industria. L'apertura di
nuove arterie di comunicazione divenne un'esigenza basilare per l'accelerazione
dei trasporti. La
Mongiana dunque ripercorse le tappe obbligate di ogni altra iniziativa
industriale e, così come quelle più avanzate inglesi o francesi, anch'essa
determinò un “ridisegno” del territorio Anche se mancarono qui le
splendide realizzazioni di canali sospesi, di canali navigabili, di strade
ferrate che caratterizzano la grande avventura industriale del Regno Unito, il
paesaggio calabrese, inesorabilmente, si era andato sempre più piegando alle
esigenze della produzione, del trasporto e del commercio. Già
i boschi di Stilo, tra la fine del '700 ed i primi decenni dell'800 erano
stati sconvolti da penetrazioni viarie, da una rete di canalizzazioni, anche se
limitate alle zone limitrofe alla produzione, nei pressi delle ferriere e
delle miniere di Pazzano. Le
opere di assestamento ai letti dei fiumi Ninfo ed Alaro portati a termine dal
Gioffredo e le strade aperte nel circondario di Stilo su disegno del Borrelli,
per collegare tra loro gli altiforni sparsi tra i boschi, sono i primi
interventi drastici sulla natura legati alla produzione del ferro. Dopo
le ultime migliorie apportate dai Borboni alla viabilità delle Serre, con
l'apertura della Pizzo-Mongiana, e con il successivo completamento dell'opera
avvenuto verso la fine dell'ottocento con lo scavalcamento dell'Appennino, e con
la fine dell'attività siderurgica della Mongiana, non vi è stato poi alcun
sostanziale ampliamento della rete di comunicazione. Fatta
eccezione per l'Autostrada del Sole, che comunque lascia le Serre isolate, il
tracciato viario prevalente nelle Serre, e un po' ovunque in Calabria, resta
quello aperto dai Borboni. Si
spera che la nuova superstrada di attraversamento tra Ionio e Tirreno, già
progettata ma in lentissima e travagliata realizzazione, possa al più presto
agganciare la zona in una dinamica più ampia. La
degradazione geografica in atto per l'abbandono delle popolazioni, la carenza
di opere atte a controllare e meglio utilizzare il sistema idrogeologico,
rendono le strade continuamente soggette a smottamenti che spesso impediscono i
collegamenti. La
nuova superstrada nasce comunque come semplice “asse viario”, senza una
precisa collocazione all'interno di un disegno programmatorio, senza
prospettive di utilizzazione produttiva. Dovrebbe ormai essere evidente che l'apertura di nuove strade non porta, di per sé, benessere e aumento delle risorse produttive. Nuova strada spesso significa solo clientelismo, distruzione del paesaggio, e speculazione. Tanto per relazionare problematiche attuali a quelle, simili, del passato, e pur non volendo assumere l'assolutismo borbonico a modello pianificatorio, comunque bisogna constatare che in quei tempi furono realizzate prima le industrie e poi le vie di comunicazione; la strada, cioè ebbe una sua immediata collocazione produttiva. Anche se è vero che per l'industria odierna non è possibile questa scissione temporale tra realizzazione di nucleo produttivo ed infrastruttura di supporto, è pur vero che la sola infrastruttura viaria, senza un quadro di riferimento, non rappresenta un investimento nè un efficace strumento di propulsione.
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