Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 6 (2°) La Fonderia di Stilo e la Ferdinandea Nella
prima fase della pietra va collocata la realizzazione della nuova fonderia nei
boschi di Stilo quando, nel 1811, fu deciso di riattivare la lavorazione in
quella contrada (5). Certamente
tra le prime fonderie realizzate interamente in muratura, essa avrebbe dovuto
riorganizzare le attività di fusione nella zona, ma la caduta di Murat ne impedì
il completamento.
Di
precedente a questa, in muratura, nella zona non si ha notizia di alcuna
fonderia. Si è potuto accertare soltanto che, dopo il terremoto del 1783 che
alterò l'orografia delle Serre, si riutilizzarono le pietre in granito della
Certosa di Serra San Bruno, distrutta dalle scosse, per la ricostruzione dei
muri perimetrali della fonderia di Mongiana. Né
tanto meno si è certi che le fonderie da realizzare “en las montanas de
Stilo” ed i cui disegni sono databili intorno alla metà del 1700 (6),
furono effettivamente realizzati. I grafici relativi a questa fonderia
testimoniano l'impreparazione comune a molti architetti dell'epoca
nell'invenzione di tipologie adeguate al nascente fenomeno industriale; né ciò
è imputabile alla incapacità individuale dell'architetto che li redasse, lo
Stendardo; persino Fuga e Sabatini, nel più tardo progetto della Fabbrica
d'armi di Torre Annunziata, del 1762, introdussero in un edificio di impianto
tradizionale funzioni estremamente diverse dalle usuali, fallendo anche essi
il loro tema progettuale.
Soprattutto
il livello-terra, quello più direttamente connesso alle attività produttive,
pare estremamente irrisolto, nel vano tentativo di voler conservare una
simmetria d'impianto ed una tipologia strutturale che mal si adattavano alla
nuova destinazione. Se si pensa alle soluzioni tecniche e tipologiche adottate
da inglesi e francesi per costruzioni analoghe intorno alla metà del XVIII secolo,
le soluzioni per Torre Annunziata e Stilo ci paiono modeste (7). Molti
tra gli architetti del tempo non compresero appieno la complessità ed il
fascino del tema tipologico legato alla “fabbrica”. Quasi sempre all'oscuro
dei processi industriali, essi erano resi facciatisti dalle Ecoles des Beaux
Arts. Al di là di poche eccezioni note, e sconfinate quasi sempre nell'utopia
progettuale, gli architetti dei secoli XVIII e XIX non hanno contribuito da
protagonisti allo sviluppo architettonico dell'industrialesimo.
Soltanto
agli inizi del nostro secolo, riappropriatisi finalmente di mezzi teorici più
aggiornati, hanno trovato un ruolo “funzionale” all'interno del sistema
industriale capitalistico, ed hanno contribuito anch'essi alla ridefinizione
dei processi produttivi ed alla codificazione di un linguaggio formale ad essi
coerente. Ciò
ha costituito l'esatto opposto di quanto è accaduto per la progettazione delle
“macchine” industriali, i cui grafici erano tesi ad una attenzione costante
verso i processi produttivi, ed in essi era del tutto assente la volontà di
“nobilitare” le forme funzionali dei singoli pezzi meccanici.
La
nuova fonderia di Stilo, iniziata realmente solo nel 1814, su disegno
dell'ingegner Paolotti (8), fu ripresa nel 1822 e
inaugurata da Ferdinando II solo nel 1833. Essa divenne un complesso
poli-funzionale, a mezzo tra “sito reale” e fabbrica. Due edifici separati
erano destinati a funzioni completamente diverse: quella di appartamento
reale, della servitù e di amministrazione, il primo; quella di alloggiamento
delle truppe, nelle stalle, e sede degli altiforni, il secondo. Tipologicamente
non eccezionale il primo, più interessante il secondo. Quest'ultimo blocco
riesce a connettere in modo articolato le varie funzioni che si sviluppano su più
livelli cui si accede con percorsi differenziati.
La
Ferdinandea è da molti decenni proprietà privata. Acquistata dai Fazzari nel
1874, fu rilevata nel 1922 dal Banco d'Italia, per poi passare in varie mani,
fino a quelle dell'Enel che vi impiantò una piccola centrale utilizzando forza
idraulica. Attualmente è ritornata ancora a privati. Alcuni dei più anziani impiegati della Ferdinandea ricordano una ricchissima “armeria” in cui, accanto alle armi lavorate in varie epoche a Mongiana, erano conservati esemplari provenienti da varie nazioni. La collezione andò dispersa durante il periodo fascista.
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