Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 1 (13°) Storia Mongiana e i moti rivoluzionari del 1848 1848:
anche Mongiana è investita dal movimento rivoluzionario che scuote l'Europa. Lo
storico ci conforta dicendo che la Calabria è la seconda regione italiana
nella costituzione dei Comitati di Salute; la cosa è marginale. È importante
invece per noi seguire l'azione dei patrioti del nicastrese e della Piana di
S.Eufemia guidati dallo Stocco e dal Griffo. A
giugno i liberali calabresi decidono di opporsi in armi al generale Vito
Nunziante che da Monteleone (Vibo Valenzia) muove con trecento uomini per una
vasta operazione di polizia. Concentramento
di rivoluzionari a Maida: vi giungono, con poche armi, da molti paesi. Solo da
Nicastro in duemila, con Stocco al comando; molti altri da Catanzaro guidati da
Eugenio De Riso e da Francesco Griffo che assume il comando delle operazioni.
Breve sosta in paese per attendere colonne di ritardatari e aiuti in denaro, poi
tutti in marcia per contrastare Nunziante. Un distaccamento di insorti, sotto
la guida di Giovanni Longo, ha l'incarico di razziare armi e artiglierie:
scartate le troppo munite piazzeforti, non resta che prendere d'assalto Mongiana.
Un manifesto a stampa è fatto segretamente pervenire alle maestranze e “AI
CITTADINI E FRATELLI TUTTI DIPENDENTI DALLO STABILIMENTO DI MONGIANA” (94). Per
la strada in costruzione che sale a Serra, Longo guida il battaglione verso lo
stabilimento, devia per Monterosso e giunge a Serra dove si uniscono altri
volontari. Ultima tappa d'avvicinamento tra i boschi, ed eccoli tutti a
Mongiana dove la guarnigione locale s'arrende dopo una parvenza di resistenza.
La breve e incruenta scaramuccia è una messa in scena che serve agli
artiglieri per salvare la faccia: a Serra, tra Longo e la Direzione, vi è stato
un segreto abboccamento per concordare la resa consigliata dalla sproporzione
delle forze in campo. E poi, perché versare sangue dal momento che lo
stabilimento ha ben poco da perdere e da offrire ai “ribelli”? A Mongiana vi
sono solo i fucili e i due cannoni in dotazione alla guarnigione militare perché,
e questo gli assalitori non lo sanno, tutto il materiale bellico non viene
assemblato in fabbrica, per facilitare spedizione e trasporto. I rivoluzionari
sono costretti a ritirarsi con un magro bottino, non possono attendere che il
materiale venga montato: Nunziante è già sulle loro tracce. Si ritirano
dunque con i due cannoni, i fucili sottratti alla guarnigione e trascinandosi
dietro qualche recalcitrante ufficiale simbolicamente “catturato” (95). Si
chiederà lo storico come mai i due cannoni non furono poi messi in campagna
contro i borbonici e perché si perse l'occasione favorevole per sconfiggere i
trecento uomini di Nunziante e dare così tempo alla rivoluzione di accendere
altri animi e conquistarli alla causa costituzionale. Forse, è una nostra
ipotesi, i rivoluzionari si attendevano qualcosa di più dalla Mongiana, sia in
armi che in proseliti. Lo stabilimento invece ha deluso le speranze; i
mongianesi, compatti, hanno reagito negativamente. Pochissimi - tra questi
Savino - hanno offerto il solo appoggio morale, gli altri si sono defilati
evitando, nel migliore dei casi, d'essere radiati da uno stabilimento che, unico
in zona, garantisce un posto di lavoro. Il solo Savino, uomo di più vasta
cultura, relegato in un avamposto dove le attività “culturali” sono le quattro
chiacchiere scambiate con i notabili del luogo, si è esposto in prima persona.
Ma non pagherà duramente il suo essere “liberale”. Deluso e costretto ad
allontanarsi da Mongiana, sarà urgentemente richiamato dalla Direzione che lo
difenderà ad oltranza e ne reclamerà la presenza. I suoi meriti, le sue
indispensabili capacità lo metteranno a riparo da qualunque ritorsione:
neanche un provvedimento amministrativo a suo carico, quando in tutto il Regno
molti presunti simpatizzanti della causa rivoluzionaria affolleranno le patrie
galere. Passa
dunque senza conseguenze il vento della fronda liberale, passa l'anno delle
rivoluzioni. 1849:
termina la costruzione del ponte sull'Angitola. Con la strada in via di
completamento i collegamenti celeri con Pizzo possono essere finalmente una
realtà! Il
capitano dei “Lavori” Crescenzo Montagna effettua un'esauriente analisi
chimico-fisica su i minerali di etite e limonite di Pazzano. Il lavoro allo
stabilimento continua, ma gli altiforni manifestano chiari sintomi di
vecchiaia. L'anno seguente, Montagna richiede due “bucolari” (iniettori)
nuovi per il “Forno Reale Santa Barbara” le cui logore pareti interne
creano scompensi di fusione. L'altro altoforno, il vecchio e cadente
Sant'Antonio (da non confondere con l'omonimo di Ferdinandea) non ce la fa
proprio più. E assolutamente necessario provvedere alla sostituzione dei due
altiforni. Si
stanno per prendere gli opportuni provvedimenti quando un'alluvione s'abbatte
su Mongiana, danneggia prese, canali, tetti di fabbrica e travolge l'armeria
murattiana costruita nel 1814. Savino non perde tempo e, con l'approvazione del
Direttore Pietro Tonson Latour, realizza in soli due anni la nuova Fabbrica
d'Armi. Nel 1852 è pronta ad entrare in funzione: inaugurazione e veloce ripresa
della produzione d'armi. Ad
ottobre, Ferdinando II effettua un'ispezione a sorpresa. Giunge la sera del 16,
accompagnato dal principe ereditario; proviene da Pizzo dove è stato costretto
a pernottare perché il giorno prima, nell'affrontare la salita verso Mongiana,
la pesante carrozza reale si é impantanata tra le sabbie dell'Angitola
straripato e si è resa impossibile la prosecuzione del viaggio. In
un leggero calesse da montagna, con a fianco il figlio “Franceschiello”
poco entusiasta del viaggio e contrariato dall'imprevedibilità paterna, il re
ha affrontato di nuovo la salita, si è fermato a Serra il tempo di una messa
per dare modo a tutti di rinfrancarsi prima d'affrontare il tratto
Serra-Mongiana, il più duro del viaggio perché poco più di un tratturo.
Contadini, esperti dei luoghi, hanno fatto da guida nei boschi e, molto spesso,
sono stati costretti a sollevare di peso il calesse reale. A
Mongiana lo riceve il nuovo Direttore Ferdinando Pacifici il quale fornirà la
cronaca dell'avvenimento in un rapporto, inoltrato a Catanzaro, al colonnello
D'Agostino (l'ex capitano della missione in tandem con Panzera, nominato nel
frattempo Ispettore degli Stabilimenti d'Artiglieria). All'indomani
della visita reale, Pacifici s'affretta a comunicargli i voleri sovrani: Mongiana,
19 ottobre 1852, n. 855 La
sera del 16 andante questo stabilimento riceveva l'onore di una visita
imprevista dell'Augusto Nostro Monarca, accompagnato dai RR. Principi, le
LL.AA.RR. il duca di Calabria, ed il Conte di Trapani. Ricevuti da me cogli
ufficiali tutti alle pianure del Ninfo, procedé pel villaggio splendente di
lumi, e si degnò prendere alloggio nell'umile mia dimora, esternando tutti i
segni della bontà e della clemenza a Lui propria. I
primi pensieri della M.S., tuttocché stracca pel lungo e penoso cammino, furono
dedicati allo stato attuale di questo Stabilimento, ed ai mezzi di prosperarlo
non solo, ma dando sfogo agl'impulsi del suo cuore benefico, mostrava la sua
volontà di dar da vivere a genti moltissime, e di annuire alle immense
suppliche ricevute nel suo cammino pel bisogno del ferro nelle Calabrie per gli
strumenti agricoli. La sera stessa si benignava esprimere che il dì appresso
avrebbe rese liete le officine della sua Reale presenza. Infatti
questa visita desiata ebbe il suo compimento, e la M.S., tenendo presenti le
posizioni in cui è lo stabilimento, rimase soddisfatto di tutto e di tutti: notò
i progressi fatti dopo la sua prima venuta, si compiacque delle macchine e dei
loro congegni. La Sovrana ispezione fu penetrante e minuta; fu notato lo stato
delle fabbriche, delle cadenti coperture, dei canali, delle prese, di tutto. E
quella grande intelligenza scovrì immediatamente che le condizioni attuali
finanziarie, lungi dal poter fare immegliare i processi delle manifatture, non
erano valevoli a riparare i tanti danni. La
Maestà del Re si compiaceva quindi esternarmi le sue intenzioni. Esse si
riducono alle seguenti che ho l'onore qui appresso di consegnarle, signor
Ispettore: 1)
Apertura di una strada per le miniere, passando per lo stabilimento di
Ferdinandea, affine di diminuire il prezzo delle materie prime; 2)
Traversa di congiungimento colla strada dell'Angitola, per la facilità dei
trasporti delle produzioni; 3)
Sviluppo della Ferdinandea, senza trascurare in nulla la Mongiana, nello scopo
di dar da vivere agli abitanti di quei convicini paesi; 4)
Ritornare all 'esplotazione della Grafite di Olivadi, per lo stesso scopo; 5)
Vendita del ferro duttile nelle tre Calabrie, onde appagare le numerose
suppliche ascoltate dalla M.S. per la fabbricazione degli strumenti di
Agricoltura, ed altro; 6)
Riduzione della Mongiana a Colonia Militare, come San Leucio, in vista di
rendere anche questo punto un Nucleo di difesa; 7)
Apertura delle filiazioni; 8)
Essere scarso il numero degli Ufficiali qui adibiti, atteso lo sperperamento
delle officine. La
M.S. (...) inoltre esternò il desiderio che la chiesa fosse convenevolmente
ingrandita e decorata. Da
ultimo la prelodata M.S. nel congedarsi la mattina del 18 m'impose di
manifestare all'ordine del giorno il suo pieno contento, così per le varie
officine dello stabilimento come per la tenuta di questa truppa d'Artiglieria. Il
Ten. Colonnello S. Direttore Ferdinando
Pacifici (96) Che
non fossero promesse vane, Ferdinando lo dimostra appena tornato a Napoli. A
dicembre Mongiana è costituita in Colonia Militare: il Direttore assommerà in
sé i poteri propri del Sindaco e gli ufficiali quelli di Corpo Municipale. Dopo
tanto penare, Mongiana è separata da Fabbrizia. Ma “quella grande
intelligenza” sovrana non lo ha deciso all'impronta in un lampo di genialità.
Più di una “supplica” re Ferdinando ha dovuto ascoltare prima di maturare
la decisione, l'ultima proprio dell'attuale Direttore che, ad aprile, in
un'altra lettera andava riproponendo al D'Agostino i termini della questione: Mongiana,
1 aprile 1852, n. 229 Questo
villaggio di Mongiana, che in sé contiene tre Reali Stabilimenti, dei quali
il più cospicuo e prosperante si è quello della novella Fabbrica d'Armi, ha
una popolazione composta di varie famiglie naturali, e permanenti che ascende a
circa mille anime, oltre tre in quattrocento individui filiati, ed addetti ai
diversi lavori di essi stabilimenti. I naturali sono mediocremente civilizzati,
sia per propria indole come per essere stati cresciuti ed educati da diversi
Ufficiali ed Impiegati di Artiglieria, ed evvi un numero di persone istruite a
maggioranza dei vicini Comuni, suscettibili a disimpegnare le diverse cariche
comunali. Il villaggio suddetto ha la disgrazia di essere aggregato al Comune di
Fabbrizia, composto da gente rozza ed inculta, sotta la cui arbitraria Amministrazione
sono non poco vessati, e nel mentre che sopportano molti pesi, non fruiscono di
nessun vantaggio, astrazione facendosi del travaglioso e pericoloso
transitare, che sono obbligati giornalmente fare da qui in Fabbrizia, distante
circa un'ora e mezza di non buone strade intersecate dal grosso fiume Alaro e da
altri torrenti assolutamente impraticabili in tempo d'inverno. Per esimergli
questa popolazione da quanto di sopra in succinto le ho promesso, resosi si è
delle rimostranze all'Augusto Nostro Sovrano implorando la grazia di essere
elevato a Comune con la sua porzione di Beni Comunali da staccarsi dal vistoso
patrimonio di Fabbrizia. La Maestà Sua, benignamente accogliendo tali
suppliche, si è degnata ordinare l'occorrente. E sul proposito varie
Ministeriali sono scese all'intendente di questa Provincia, ed io, in linea
d'informo, risposi concludendo i detti motivi con far rilevare che, essendo
Mongiana Comune separato, l'Amministrazione sarà meglio assai diretta tanto
per i commestibili di prima necessità in luogo montanaro che poco o niente
produce per istesso, delle opere di pubblica utilità come sono Chiesa, istruzione
alla gioventù, strade, fontane ecc. senza gravitare l'accomodo di esse a
carico di questo Stabilimento. E
quindi signor colonnello Ispettore che (...) la prego di interporre il suo
volere presso la prelodata Maestà Sua, onde essere al più presto questo luogo
dichiarato Comune che con giustizia viene reclamato dalla popolazione, che lo
esige la dignità e il decoro della nostra Arma, che vi tiene un Comandante di
Piazza Ten. Colonnello Direttore, diversi Ufficiali, Impiegati e Truppa. Perciò
son sicuro che accoglierà le generali e particolari mie preghiere. Il
Ten. colonnello S. Direttore Ferdinando
Pacifici (97)
Dei
rimanenti voleri sovrani, alcuni hanno rapida realizzazione: aumento del gruppo
dirigente, apertura delle filiazioni, vendita del ferro ai singoli privati,
sviluppo della Ferdinandea (costruzione di un secondo altoforno) e riapertura
della miniera di Olivadi. L'ampliamento della rete viaria sarà messo in
cantiere qualche tempo dopo, iniziano intanto gli studi preliminari di
tracciato. Passata
l'emozione dell'ispezione reale, Mongiana rinserra le fila e, l'anno dopo,
all'Esposizione di Arti e Manifatture (proto-fiera campionaria tenuta ormai da
anni a Napoli, emula della mostra murattiana del 1810), dimostra al re che la
sua fiducia non è mal riposta.
Nell'Esposizione
del 1853 “i lavori importantissimi della ferriera di Mongiana, rendevano la
mostra che descriviamo più interessante delle altre. Prova ne sia la ghisa di
prima fusione la quale era di tanto pregio da non temere il confronto con quella
di Bofort, quanto il ferro raffinato tratto dal ferraccio ed il ferro malleabile
tirato a trafila di varie dimensioni, tondo e rettangolare di cui il Reale
Istituto (98)
ne osserva la spezzatura a freddo. Altrettanto è da dirsi delle
bandelle, delle lamine stagnate a fogli. Oltre a ciò era notevole un bel saggio
d'acciaio di cementazione, fabbricato in quel Regio Opificio nel 1853, un
completo assortimento di lime e raspe finissime, di sete di schioppi e canne
damascate, di baionette e di altri lavori non meno lodati, i quali tutti
abbastanza provano la valenzia degli addetti a quel Regio Stabilimento… (99). Mongiana, episodio vivificante dell'Esposizione, è inserita con una sua precisa fisionomia nel panorama industriale napoletano, lo stesso che fa esclamare al cronista della mostra: "Con vera compiacenza vedemmo consolidate e
divenir giganti le fabbriche dei lavori di ferro fuso di ogni maniera, e massime
la costruzione delle macchine tecnologiche delle quali sentivasi il bisogno, e
che sarebbero bastate da sole ad onorare la presente Esposizione". A chiusura del commento sulla fiera, il cronista ha un attimo di stupefacente chiaroveggenza: “...or quantunque la Pubblica Industriale Solennità non era, né potea essere che un debole simulacro di tutto quanto si esegue nei nostri fiorenti opifici, pure chiunque di animo non preoccupato potea riconoscervi
il positivo slancio che le napolitane industrie han ricevuto in
questi ultimi anni mercé l'operosità e gli ingenti capitali di tanti
benemeriti industriosi. Possano essi con sempre crescente alacrità progredire
nell'intrapreso impegno; e possano una volta conoscersi veramente le nostre
cose industriali da coloro che, o ignorando le produzioni del paese, o per
incontentabilità, o per malanimo ancora, se ne fanno censori superbi, giudici
ignoranti, e spesso ingiusti detrattori”. E di incompetenti, o interessati detrattori, ve ne saranno molti nel futuro dell'industria meridionale. Per il momento, accompagnata dalla gloria conquistata sul campo dell'esposizione napoletana, la Mongiana va per la sua strada, ma il suo cammino è interrotto ancora una volta da una calamità naturale. Un'altra alluvione, più violenta della prima, la sorprende poco tempo dopo che le ripetute lamentele sull'efficienza dei forni hanno ottenuto la ricostruzione del vecchio Santa Barbara e la sostituzione
del Sant'Antonio. I riconoscimenti
all'esposizione sono stati ottenuti quindi con la vecchia attrezzatura. Per evitare omonimie con il Sant'Antonio di Ferdinandea, l'altoforno sostituito è stato chiamato San Francesco. Contemporaneamente si procede alla costruzione di un terzo altoforno che si chiamerà San Ferdinando. La ricostruzione del Santa Barbara ha dato luogo a un forno gemello a quello di Ferdinandea; i due forni, per altezza e dimensioni del ventre e della sacca, sono i giganti dell'intera siderurgia italiana (100). Gli altri due, il finito e quello in via di completamento, sono più moderni, non hanno il massiccio a parallelepipedo ma la classica forma inglese a torre cilindrica (sul tipo di Thomas e Laurent). Sono anch'essi enormi, hanno la stessa altezza degli altri due ma sono più snelli. Nella parte inferiore, fino al ventre, sono sostenuti da pilastrini in ghisa solidali a un largo anello dello stesso metallo sul quale poggiano i rivestimenti esterni in muratura fortificata da cerchi di
ferro. Il rivestimento interno è di steatite mista a mattoni refrattari; il
sistema di ventilazione è predisposto in modo da potere sfruttare numerosi
iniettori. Con
la nuova attrezzatura, con centoventi cantaia di ghisa giornaliere prodotte,
in una campagna protratta con tre altiforni per otto mesi e con due per i
rimanenti quattro, sul piano produttivo la Mongiana per ora non ha rivali in
grado di tenerle testa. 1855: a novembre un vero uragano sconvolge dalle fondamenta fabbriche e paese. La furia degli elementi risparmia la sola Fabbrica d'Armi che con le sue nuove mura si difende dalla piena del Ninfo. L'Alaro arreca danni incalcolabili al paese ancora intento a leccarsi le ferite della precedente alluvione.
All'indomani il bilancio dei danni è agghiacciante: spazzata via la Robinson
(con sette uomini e il laminatoio), distrutta la maggior parte delle ferriere
lungo il fiume, crollata più della metà della fonderia, disselciate le
strade, divelti i canali, abbattuti i ponti, intasate le prese, scoperchiati
tutti i tetti. Un disastro! Ma i militari non si perdono d'animo e, con Savino
in prima linea, iniziano una seconda ricostruzione e danno alla Mongiana nuovo
volto. La resistenza opposta dalle mura della Fabbrica d'Armi suggerisce la strada da seguire a difesa dalle frequenti alluvioni. La nuova Fonderia sarà più solida, più vasta, capace di contenere gli altiforni e il meglio delle attrezzature; prende così la forma di cui oggi restano le rovine e, in sostituzione dell'unica ruota di legno, vengono
montate due ruote metalliche di oltre sei
metri di diametro l'una. Le nubi non faranno più paura, ma ben'altre se ne
addensano sul cielo di Mongiana che, del tutto ignara del destino che l'attende,
continua a dare soddisfazioni al Regno e lavoro ad oltre millecinquecento
operai. Un solo dato prima del crollo del 1860: nel 1857, ancora in fase di rodaggio dopo l'alluvione, raggiunge l'apice della produttività e i suoi quattro altiforni riuniti vomitano 25.000 cantaia di ghisa incandescente. È il canto del cigno, ma 25.000 cantaia di ghisa l'anno rappresentano solo il 75% della potenzialità effettiva dell'impianto. Dal febbraio 1856 la ferriera sta sfruttando una ricchissima vena di minerale, incontrata con la traversa nella galleria
Immacolata. La
galleria Scolo appare anche più promettente e nel suo interno si provvede a
stendere altri binari per il trasporto dei carrelli (101).
Dal 1854 è stato ordinato alla Direzione di far marciare gli altiforni in
sovraccarico di minerale per produrre la ghisa bianca da inviare ai puddler
dell'affineria Ischitella annessa alle Officine di Pietrarsa. Che
venticinquemila cantaia di ghisa non siano il massimo delle possibilità di
Mongiana lo dirà un “piemontese” non ancora “interessato” a
disprezzare le attività industriali del regno napoletano, quel colonnello
Massimino, garibaldino e primo Amministratore della ferriera “liberata”. A
Massimino, che ancora non s'è ripreso dallo stupore di avere trovato tra quelle
montagne simile stabilimento, le nuove autorità chiedono un primo consuntivo
sulla fabbrica. Massimino
s'affretta a comunicare: “Come appare dallo stato n.
1, qui lavorano n. tre Alti forni ventilati da una macchina a vapore della forza
di 50 cavalli, la cui caldaia è riscaldata mercé i gaz incandescenti che si
estrinsecano dagli Alti forni. Questa fonderia può dare 40.000 cantari di ferro
fuso l'anno. Evvi poi un'altro forno a manica o Cubilot per la seconda fusione
(...) son vi pure tre raffinerie da ferro nelle quali il ferraccio si riduce in
ferro fucinoso. La Fabbrica delle canne è incipiente (...) A tre ore di
distanza nei monti evvi un'altra fonderia che possiede un altro forno, in un
locale capace di averne quattro. A tre ore da Ferdinandea sono le miniere del
ferro con tre gallerie producenti un ottimo minerale ed alle quali è addetto un
Capitano d'Artiglieria. Dallo
stato n. 2 appare il materiale principale esistente in questo stabilimento.
Dalli stati n. 3 e 4 si conosce il personale esistente in questo stabilimento e
da essi si rileva come più di 1500 persone traggano la loro esistenza dai
lavori dello stabilimento...” (102). Bisogna
credergli perché, sebbene scrive la relazione dopo pochi giorni dal suo arrivo
alla ferriera, non si può affermare che Massimino sia uno sprovveduto in
materia, non a caso ricopriva il ruolo di Luogotenente colonnello Ispettore di
Artiglieria presso l'Esercito dell'Italia Meridionale. |
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