Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 1 (12°) Storia Domenico Fortunato Savino, “ingegniere costruttore” Fin'ora,
ultimi anni del decennio 1830, gli ufficiali dirigenti sono stati cinque; alla
“Direzione”, al “Dettaglio”, ai “Lavori”, alla “Fabbrica
d'Armi”, alle “Miniere”. Ai compiti non corrisponde sempre lo stesso grado
militare: la scelta è operata in base alla competenza del singolo. Se prendiamo
ad esempio la Direzione, la si trova indifferentemente in mano a capitani,
maggiori e ten. colonnelli. Lo stesso vale per le altre cariche nelle quali si
avvicendano senza distinzione tenenti, capitani e maggiori. L'ufficiale
Direttore comanda sia i militari che gli addetti civili, è responsabile della
gestione, della contabilità, dello stato giuridico-amministrativo di ogni
militare e operaio; dipende a sua volta da una delle Direzioni d'Artiglieria e
dal Comando dell'Arma in Calabria. L'Ufficiale
al “Dettaglio” (un economo) cura i rifornimenti (legnami, carbone, viveri
e materiali di prima necessità), provvede a spedire i manufatti ai vari
depositi di smistamento e vendita, comanda carbonari e mulattieri ramo-carbone.
L'ufficiale ai “Lavori” (un chimico) sorveglia i processi fusivi, guida il
lavoro dei fonditori ai quali dà consigli tecnici, è responsabile della qualità
dei ferri e manufatti. L'ufficiale alle “Armi” (un perito) comanda
barenatori e armaioli, ha l'incarico di smistare le armi ai vari corpi militari
e di esaudire le richieste di lastre per fucile inoltrate dalle manifatture di
Torre e Poggioreale. L'ufficiale alle “Miniere” (un geologo) cura il lavoro
d'esplotazione, segue le ricerche di nuovi filoni, ordina l'apertura delle nuove
gallerie e la chiusura di quelle esaurite, sorveglia quotidianamente le
fortificazioni, comanda le squadre dei minatori e mulattieri ramo-minerale. Alla
Ferdinandea un solo ufficiale svolge compito amministrativo e di sorveglianza,
in quanto tutte le altre questioni sono demandate ai competenti dei vari
settori di stanza a Mongiana. All'inizio
degli anni quaranta, a fianco di costoro, compare un personaggio nuovo, non
militare, ma con carica semimilitarizzata: “Ingegniere
Costruttore” (con il titolo onorifico di tenente). La
Mongiana si avvarrà, e lo custodirà gelosamente, di Domenico Fortunato Savino,
uomo sconosciuto alle cronache ma personaggio chiave della storia edilizia e
tecnica della ferriera. Sarà lui a curare i restauri dei vecchi immobili, a
redigere i progetti dei nuovi, a concludere i contratti d'appalto con gli
imprenditori serresi, a verificarne l'esecuzione. Savino è il progettista della
Fabbrica d'Armi, della nuova caserma, della fonderia, delle strade, del
cimitero, delle nuove officine, di ponti e canali. A Savino ci si rivolge,
timidamente all'inizio, poi sempre più spesso, fino a rendere indispensabile
la sua presenza, per dirimere controverse questioni tecniche. Le sue
innegabili capacità e la sua inventiva lo porteranno a migliorare i sistemi di
produzione, a convertirli e a ideare soluzioni e meccanismi inediti; è l'uomo
dalle mille risorse che modifica macchine difettose, e ne corregge il
funzionamento. È il realizzatore dei carrelli degli altiforni mossi da una
macchina a vapore che utilizza a recupero i gas in uscita dagli altiforni, una
tecnica che prenderà piede nell'industria siderurgica molto tempo dopo. Finalmente,
ed era ora, è nata nel napoletano una classe di poliedrici tecnici, di cui
Savino è brillante ma dimenticato esponente, figli di quanti, sulle orme del
professore Henry, sono venuti a Napoli, e fratelli dei tanti che dovranno ancora
venire, come l'inglese Thomas R.Guppy già famoso in patria per la costruzione
del Great Western - piroscafo detentore del primato di traversata atlantica - il
quale si stabilirà a Napoli dove con il socio Pattison aprirà una
metalmeccanica, illustre antenata dell'attuale MecFond (92). Alla
Mongiana, siamo nel 1846, Savino ottiene via libera all'introduzione del
metodo d'affinazione “contese” (affinage comtois): una
sola fusione con “abballottatura”, sollevamento di un'unica massa (detta
“loppa”), battitura a maglio per addensarla e purgarla delle scorie
liquide, ricarica nel forno con nuovo carbone e nuova ghisa. Il rendimento in
ferro sale al 75% della ghisa introdotta nella forgia.
Sotto
la direzione di Savino sono costruiti i nuovi forni a riverbero con l'aggiunta -
altra operazione insolita adottata poi da tutta la siderurgia - di un fornello
complementare dal quale le fiamme eccedenti sono condotte lateralmente dove il
calore è utilizzato a preriscaldare ghisa e taglioli da sottoporre alla
battitura a maglio o da introdurre nei laminatoi. Nella rimodernata ferriera Real Principe, Savino installa un nuovo laminatoio acquistato in Inghilterra: la “Macchina Tira-Ferri”, distendino colossale e inusitato al quale l'ingegnere dovrà dedicare molte cure perché non sembra il macchinario inglese un modello di perfezione tecnica. L'incredulo cronista non cela lo stupore e ha parole d'ammirazione tanto per la macchina che per la rimodernata ferriera dell'Alaro che con l'ampliamento perde il suo
originario nome e prende quello dell'ufficiale della Marina Reale William
Robinson, socio del fondatore di Pietrarsa. Ecco Tedeschi sull'ex Real
Principe ora “Ferriera di Robinson”: “...vasta e grandiosa fabbrica che
contenea quattro banchi di ferro fuso, e altrettanti cilindri di enormi
dimensioni, messi in movimento da ruote d'ingranaggio mosse alla loro volta da
un'altra enorme ruota dal peso di oltre cento cantaia” (93). Macchinario
davvero non comune che Savino è capace di correggere, e la Mongiana in grado
di sostituirne i cilindri difettosi. A partire da questo momento la Mongiana, divenuta autosufficiente, si costruirà da sola tutto l'occorrente; ne darà prova durante la realizzazione della nuova Fabbrica d'Armi i cui macchinari saranno progettati e costruiti sul posto. Neanche una lima o una semplice raspetta sarà mai più importata. |
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