Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 1 (10°) Storia Nascita della metalmeccanica privata, nuovo mercato per Mongiana All'industria
tessile si devono riconoscere due meriti: la nascita della moderna industria
chimica e il sorgere della metalmeccanica privata. La chimica nasce per la
produzione di acidi sbiancanti, mordenti e coloranti necessari alla tessile.
Sfrutta i vasti giacimenti siciliani di zolfo, la più importante impresa
mineraria italiana dell'epoca (in grado di rifornire nel suo complesso tutta la
chimica inglese, almeno fino alla conversione degli impianti all'uso delle
piriti). A
un'altra esigenza dell'industria tessile è legata la nascita dell'industria
metalmeccanica, non più statale ma privata. La tessile, al Sud, avvia la
produzione servendosi di telai meccanici di fabbricazione straniera, specie
francesi. Messa in moto, risente subito la mancanza di attrezzature di
ricambio. A Napoli la metalmeccanica privata nasce in contrappunto alla
statale, ancora prevalentemente ad indirizzo militare, e coincide con la fondazione
della Zino & Henry, emanazione dell'industria tessile, sorta per fornirle
appoggio e autonomia. La Zino & Henry è un'impresa nata dalla volontà di
Lorenzo Zino, proprietario di uno stabilimento tessile a Carnello, sulle acque
del Fibbreno, presso Sora. A Carnello sono in perpetua attività telai meccanici
francesi; il logorio cui sono sottoposti richiede quotidiane riparazioni e
sostituzioni. Per uscire dall'impasse dell'attesa dei ricambi, Zino, in
società con il professore di meccanica Francois Henry, venuto da Parigi a
curare l'installazione di macchine a vapore, concretizza l'idea di costruirsi da
solo i ricambi e sottrarsi così ai lunghi ritardi e ripetuti errori di
spedizione. I
due aprono, con l'unico scopo di produrre i ricambi, uno stabilimento
meccanico a Capodimonte. La cosa non passa inosservata: sono letteralmente
sommersi da pressanti richieste di molti altri industriali tessili alle prese
con i medesimi problemi. Ampliato lo stabilimento, vedono giungere non solo
richieste di sostituzioni parziali, ma anche di macchinario completo. Aprono una
succursale ai Granili, al Ponte della Maddalena; anche qui pioveranno le
richieste più disparate, per merito questa volta della pubblicità ottenuta
dalla riparazione delle macchine del Pacchetto a Vapore Nettuno, della Compagnia
Toscana di Navigazione, in avaria durante il viaggio inaugurale da Londra. Il
bastimento, rimorchiato a Napoli in attesa di proseguire per Marsiglia, unico
porto del Mediterraneo già specializzato in tali interventi, grazie alla
perizia del professore francese e all'abilità delle maestranze della società,
è stato messo in grado di riprendere il mare e proseguire da solo il suo primo
viaggio. L'intervento
procura altro mercato: il porto di Napoli diviene meta obbligata dei provascelli
in difficoltà nel Mediterraneo centrale e sarà poi dotato del primo bacino di
carenaggio in muratura d'Italia. La Zino amplia la gamma produttiva, diventa
un'ottima industria comprimaria, raggiungendo in breve una giustificata notorietà
(85). La
fama polarizza curiosità, invidia e, naturalmente, critiche: assurta a ruolo
d'industria d'importanza nazionale, oltre a lodi e commesse, s'attira aspri
rimproveri per la preferenza accordata nella lavorazione alla ghisa nera
inglese. Nel 1834, il Giornale di Commercio pubblica un violento attacco ai due
soci, rei di tale scelta che, a dire di Giuseppe Del Re, autore del pezzo, va a
tutto discapito della ghisa nazionale. L'articolo e lo strascico di polemiche
scaturitene hanno il merito di mettere il dito sulla piaga. Al giornalista che
dalle pagine del Giornale li invitava a far uso della ghisa di Mongiana,
altrettanto pubblicamente, i due ribattono che solo gli altiforni inglesi,
marcianti a coke, producono la ghisa e i ferri adatti alla lavorazione a tornio
e trapano e che, se anche la Mongiana fosse stata in grado di produrli, il loro
costo sarebbe risultato superiore a quello degli inglesi. Dichiarano inoltre
di ritenere Mongiana capace di produrre in futuro le qualità richieste, ma di
nutrire seri dubbi sulla costanza delle consegne e temere i prezzi del loro
trasporto sulla piazza napoletana. Il
divampare della polemica non sfugge al governo che, punto sul vivo dagli
inoppugnabili argomenti, apre finalmente gli occhi sugli aspetti carenti della
siderurgia statale. Decide l'apertura della strada tra Mongiana e il mare e, per
non perdere la faccia, accelera i tempi di realizzazione del primo tronco
ferroviario italiano. Nel 1837, richiesto dal Segretario di Stato per la
Guerra e Marina, si vara il progetto del collegamento Mongiana-Pizzo; nel 1839
è pronta ed inaugurata la Napoli-Portici. Effetto
non secondario della polemica Zino-Del Re, scaturito dalla volontà di non
lasciare il tronco ferroviario un'episodio isolato, o comunque gestito da
imprenditori privati, sarà la fondazione delle Officine ferroviarie di
Pietrarsa dove l'uso delle litantraci sarà previsto fin dall'inizio. Le
Officine sono dei primissimi anni del 1840, servono per la costruzione del
materiale rotabile, di motrici a vapore navali e per creare una classe di
macchinisti navali (istruiti dall'annessa Scuola Macchinisti) che sulle navi
napoletane sono sempre stati inglesi, motivo di continua apprensione perché,
come già all'epoca della “questione degli zolfi”, essi erano in grado di
bloccare in qualunque momento i traffici marittimi della flotta più moderna e
consistente d'Italia e, fatta salva la Francia, dell'intero Mediterraneo. Ancora
oggi tra i ruderi delle vecchie Officine di San Giovanni a Teduccio campeggia la
statua di Ferdinando II. La lapide sul piedistallo è un documento
programmatico: PERCHÉ
DEL BRACCIO STRANIERO - A FABBRICARE LE MACCHINE MOSSE DAL VAPORE - IL REGNO
DELLE DUE SICILIE - PIÙ NON ABBISOGNASSE - E CON L'ISTRUZIONE DEI GIOVANI
NAPOLETANI - TORNASSE TUTTA NOSTRA L'ANTICA ITALIANA DISCOVERTA - FERDINANDO II
- NELL'ANNO XI DEL SUO REGNO - GOVERNANDO LE ARMI DOTTE - CARLO FILANGIERI
PRINCIPE DI SATRIANO - FONDO'. L'Europa
intera rimane sorpresa e ammirata per la modernissima fabbrica e la sua perfetta
organizzazione. Inghilterra e Francia, che si ritengono uniche depositarie della
rotaia e della locomotiva, accusano il colpo; Vienna non cela il disappunto;
Torino invia in tutta fretta Alfonso Lamarmora a rendersi conto e a studiare
la possibilità d'impiantarne una simile in Piemonte. Lo Zar russo la copierà
identica e darà vita alle Officine di Kronstadt. E
se, nel 1862, il futuro re Umberto I di Savoia, nel visitare le Officine,
avverte il bisogno di scattare sugli attenti di fronte alla statua di Ferdinando
scalzata dal piedistallo e relegata in un deposito, nel 1903 gli operai
dell'oramai “declassata” Pietrarsa costringeranno Vittorio Emanuele III a
rimettere la statua al suo posto per un postumo, amaro ringraziamento. Abbiamo
precorso i tempi, accennato alla nascita della statale Pietrarsa e allo sviluppo
della Zino - la prima in ordine cronologico delle molte società
metalmeccaniche napoletane - e abbiamo ricordato la polemica giornalistica
sull'impiego dei prodotti della Mongiana, per confutare il convincimento che
porta ancora oggi a ritenere le industrie napoletane isolate eccezioni, avulse
da un contesto più allargato e spesso definite “cattedrali nel deserto”.
Tale definizione s'addice forse a qualche realizzazione dei nostri giorni, a
qualche odierna industria che, nata monca al Sud, stenta a raggiungere i
livelli produttivi attesi, e perde nel confronto con le “case madri” del
Nord. Se
al contrario si confronta la siderurgia meridionale con quella degli Stati sardi
intorno alla metà del secolo XIX, si giunge alla conclusione che in poco più
di un secolo la situazione si è completamente ribaltata. I 1290 addetti che,
nel 1845, Piemonte, Liguria e VaI d'Aosta potevano vantare, disseminati in una
quindicina di piccoli stabilimenti artigianali, ammontano a quelli delle sole
Mongiana e Pietrarsa. Per non parlare di quantità prodotte o di qualità
sfornate, discorso completamente diverso nel quale, alla stessa epoca, perde il
confronto tutta la siderurgia settentrionale, ad eccezione del solo
stabilimento Rubini a Dongo sul Lario che, a metà degli anni quaranta, doveva
ricevere le cure dell'alsaziano G.E.Falck. Una tra le ragioni addotte dagli
unitari liberali per giustificare lo smantellamento della siderurgia meridionale
era data dalle onerose importazioni effettuate dal Sud. La stessa siderurgia
settentrionale tuttavia non ne era esente poiché aveva assoluto bisogno del
coke che non produceva. Tutta la siderurgia italiana era, e sarà poi,
dipendente dall'estero: lo era con il ferro e il carbon fossile, lo sarà quando
utilizzerà l'energia elettrica sostitutiva del carbone negli altiforni,
continuerà ad importare carbone per produrre energia elettrica; importerà
petrolio sostitutivo del carbone e già importa uranio per le centrali nucleari.
L'italia è stata sempre dipendente per le materie prime, ed è perciò ancora
più esiziale che la nazione unitaria abbia contratto definitivamente lo
sfruttamento delle risorse locali e abbandonato l'esplotazione delle miniere
meridionali. In
fatto d'importazioni poi, la siderurgia napoletana non si comportava
diversamente dalla fortissima inglese che, per sostenersi nei momenti di
maggiore flessione, importava considerevoli quantità di ferro svedese.
L'importante, evidentemente, era costruirsi una solida base di attrezzature e
creare una nutrita classe di tecnici e maestranze. Nè la stessa Italia ci
sembra essersi comportata in modo diverso dalle “deprecabili” posizioni
meridionali, quando, sfornita di materie prime, si è costruita un proprio apparato
produttivo e ha tentato d'inserirsi nel novero delle nazioni industrializzate. Si
è parlato spesso dei “primati” conseguiti dal Regno napoletano (primo
vascello a vapore, primo tronco ferroviario, primo bacino di carenaggio in
muratura, ecc.). La Napoli-Portici è genericamente etichettata come
iniziativa di regime e bollata col marchio della demagogia. Si dimentica, che
essa costituisce il via per una serie di iniziative collaterali. A qual prò
altrimenti Pietrarsa? Ed è la Zino & Henry, metalmeccanica privata, che
appoggia la Bayard nella realizzazione dell'opera.
Cade
così anche l'altra accusa “storica” al sistema meridionale, tacciato di
privilegiare solo l'industria statale e non concedere spazio agli imprenditori
privati. Il fatto è che il Sud non era su posizioni di protezionismo ad
oltranza, nè su quelle di capitalismo privato “avanzato”, ma piuttosto su
posizioni intermedie, con un capitalismo di Stato con funzioni di accumulazione
primaria, oscillante tra le due vie. Tale scelta lo collocava su posizioni non
molto differenti da quelle assunte dallo Stato francese post-rivoluzionario
nel creare il grosso della sua ossatura industriale, in tempi estremamente
contratti, per recuperare il suo ritardo storico nei confronti di altre nazioni
già più avanti sulla strada dello sviluppo industriale privato. Anche
se lo Stato meridionale non giunge al punto di creare imprese a capitale misto
(strada seguita in seguito dall'Italia), esso concede franchigie tanto
all'industria statale che alla privata. Nè il protezionismo è tanto cieco da
andare contro gli interessi del paese, nel quale, va sottolineato, non è
consentita alcuna forma di monopolio e dove l'assegnazione delle commesse
avviene sulla base della pura convenienza economica. Certo, la Zino vince le sue gare d'appalto e ottiene la preferenza degli imprenditori francesi, per la realizzazione della Napoli-Portici, perché è ancora l'unica impresa sul mercato in grado di fornire il materiale richiesto. Vero anche che Pietrarsa, sorta per fornire il materiale rotabile al Regno, vede sfumare molti contratti a favore di industrie nazionali e straniere, prova ne sia che il Direttore della Regia Ferriera acquista le rotaie dove sono più a buon mercato e installa addirittura, all'interno dell'Opificio Meccanico Ferroviario, una fonderia per produrle. Ciò dimostra che, sebbene Pietrarsa, al pari di S.Leucio, è sostenuta vigorosamente anche senza guadagno - per garantire comunque posti-lavoro, per accumulare esperienze e per evitare la fuoriuscita dal paese di forti somme di denaro - il protezionismo esasperato non è la strada di sviluppo scelta dal Regno napoletano. D'altro canto, nel 1880, il capitalismo liberale che aveva biasimato l'anacronistico protezionismo meridionale, quando
vorrà gettare le basi dell'in-dustria italiana, sarà costretto ad erigere
un'invalicabile barriera doganale con tariffe superiori a quelle napoletane di
trent'anni prima (86). Queste
digressioni non sono vascolarizzazioni del discorso su Mongiana, ma servono ad
inquadrare la realtà economica in cui si troverà la ferriera calabrese nel
decennio 1830-40, quando nel paese si incentivano i processi di sviluppo
industriale.
Alle nuove industrie Mongiana fornirà appoggio, e da esse trarrà sostentamento e motivo di crescita.
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