Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
|
Capitolo 1 (8°) Storia Restaurazione, ristagno produttivo ma “specializzazione” di Mongiana Quando
era stato preso in consegna dal Ministero della Guerra, lo stabilimento - unico
siderurgico del regno - versava in pessime condizioni e gli stessi mineralogisti
non erano andati al di là di meri tentativi di miglioramento. In soli otto anni
invece l'Artiglieria ha quadruplicato la produzione e migliorato la qualità dei
ferri sfruttando più o meno i medesimi impianti. Nel ritirarsi da Mongiana,
gli ufficiali dell'esercito napoleonico lasciano ai borbonici una ferriera del
tutto “diversa” da quella trovata all'arrivo. Tramontata
un'epoca di fervori e speranze, quella che inizia sarà, al contrario, di
repentino riflusso e netto ristagno sotto la cupa atmosfera della Restaurazione.
La Mongiana non si sottrae alla norma generale; ne fa fede quella cartina di
tornasole che è l'indice di produzione, calato immediatamente su valori antenapoleonici
e stabilizzatosi sulle 4.000 cantaia annue, quasi a conferma che nulla è
cambiato nel paese e che l'avventura murattiana è tutta da dimenticare (79). Le
condizioni economiche del Regno sono pessime: Ferdinando, per riempire le casse
dello Stato, aumenta alcune tasse ed è costretto a contrarre prestiti, anche
con i Rotschild, sempre disposti a sostenere le case regnanti in difficoltà,
e poi ben ripagati da profitti considerevoli. In questi anni quindi, alla Mongiana,
come alle altre attività industriali del Regno, verranno lesinati i fondi per
investimenti. Partiti
i francesi, re Ferdinando I (sempre il vecchio Ferdinando IV ma con la nuova
“targa” della Restaurazione), al quale dobbiamo riconoscere una
straordinaria abilità nel sapersi barcamenare in attesa dei momenti favorevoli
alla riconquista del trono, ha mantenuto alla guida della ferriera il Corpo
degli artiglieri che tanta favorevole impressione aveva suscitato in tutti con
la sua puntigliosa attività. Iniziano
anni di oscuro e misconosciuto lavoro; la Mongiana, che era stata fornitrice
dell'Arsenale, della Manifattura di Gioacchinopoli (80),
dell'Amministrazione di Polveri e Nitri, dell'Artiglieria di Terra e di Mare, séguita
ad inviare, tra il 1816 e il '30, il suo ormai modesto quantitativo alle diverse
branche militari e, perso il primato d'industria trainante, si richiude in sé
stessa specializzandosi in produzioni più complesse. Era
terminata ed entrata in produzione nel 1814 la Fabbrica delle Canne,
ribattezzata Regia Manifattura e Armeria, secondo il solito malaccorto tentativo
di fare la storia a posteriori, sottraendo merito agli ideatori, operazione
che dopo l'Unità sperimenteranno gli stessi Borboni quando sarà cancellata
memoria delle loro realizzazioni più valide. Mongiana
nel 1815 ha dato il via alla fabbricazione di componenti per armi che, spediti a
Torre Annunziata, sono assemblati in quella Manifattura. Nessuna meraviglia
che dalla nuova Armeria escano subito prodotti perfetti, perché il ferro è
adatto a tale lavorazione e alla ferriera affluiscono numerosi armaioli
napoletani e alcuni tecnici francesi, i quali danno immediata prova della loro
perizia (81). Ne darà conferma il Landi che,
lasciata la Mongiana, è andato nel 1820 a dirigere la Manifattura torrese: anni
dopo scriverà nel commentare i discreti risultati ottenuti sotto la propria
gestione dalla fabbrica fondata da Carlo: “... or domandiamo con quali mezzi
si ottennero siffatti risultamenti? Colle quantità di ferro e di combustibile
fissati dalle tariffe e nulla più; col ferro A 23 bastardo, fabbricato e
spedito dalle ferriere di Mongiana, senza i bidoni e senza i maquettes,
voluti dal Cotty (generale francese autore di trattati sulle armi) ed usati
presso alcune manifatture di Francia; senza quadruple saldature, progettati
e messi in pratica nella Mongiana; senza intaccature, credute indispensabili, ma
invece con semplici spezzoni tagliati a giusto peso dalle sbarre A 23 e tirati a
semplici lastre col maglietto della fabbrica stessa, e ciò sulle norme della
fabbrica d'armi di S.Etienne, la quale con questo semplicissimo ed utile metodo
di fabbricazione, può fornire ogni anno la Francia di 12.000 armi complete,
le cui canne di molta reputazione, son fabbricate col ferro di Franca Contea, il
quale è mollo e in gran parte fibbroso, qualità che pur s'incontrano nel
nostro ferro di Mongiana... " (82). La
nota dell'ex Direttore di Mongiana è una miniera di notizie. La ferriera
calabrese è già in grado di progettare autonomamente parti separate di fucile,
ha in più semplificato i componenti eliminando accessori superflui, il che è
in armonia con la tradizione napoletana di armi da guerra pratiche, funzionali,
prive di orpelli, anche se curate nell'estetica. Fattori determinanti si
rivelano le diverse qualità di ferro prodotte, alcune delle quali hanno caratteristiche
ideali alla fabbricazione delle canne, in particolare l'A 23 ha il grado di
elasticità idoneo ad evitare la deflagrazione e la deformazione della canna
sotto l'effetto dello scoppio delle polveri e il passaggio delle palle di piombo
(83). La
felice unione di capacità tecnica e qualità dei materiali spingerà il
Governo borbonico a scrollarsi di dosso l'immobilismo postmurattiano, ad
ampliare il settore e decidere di costruire e montare in loco quelle armi che
daranno a Mongiana un lustro pari a quello di più antiche e rinomate
manifatture militari napoletane (Poggioreale e Torre Annunziata). Accade, in
scala ridotta, quanto già si è verificato nella Napoli del sei-settecento,
quando la contrazione dell'attività di base aveva dato luogo alle
specializzazioni artigianali. Si
dà nuova vernice alla ferriera; tra le iniziative di “riconversione” ve
n'é una emblematica della volontà di adottare nuove soluzioni e dotare il
regno di prodotti d'avanguardia. Va segnalato infatti il tentativo, iniziato con
il successore di Landi, ten.colonnello Mori, di fabbricare gli acciai speciali
e la latta. L'idea, in verità, era stata dei napoleonici, ma solo nel 1818
entra in funzione a Mongiana un moderno laminatoio, che sostituisce l'arcaico sistema
della battitura a maglio, per la produzione di lamine stagnate. La cosa è
tanto più notevole in quanto, alla luce delle attuali conoscenze
sull'industria, sembrerebbe il primo impianto di tale genere adottato da tutta
la siderurgia nazionale italiana. Il “Laminiero”, termine usato per
indicare il nuovo meccanismo, è in grado di confezionare sottili bandelle di
ferro che, per evitare i danni dell'ossidazione, sono poi passate al bagno di
stagno. Per l'epoca è un traguardo notevole perché la ruggine è stato sempre
un problema infido, risolto in precedenza da una frettolosa spolverata di
grafite.
L'economia
del nostro discorso non consente di approfondire ulteriormente questi anni,
pure se ne varrebbe la pena, per seguire il graduale passaggio dall'architettura
del legno a quella della pietra: la prima cede il passo alla costruzione di
edifici in muratura, anche se semplici e senza quel minimo di finiture delle
realizzazioni degli anni '50 di cui restano le rovine.
La
Mongiana, come non era mai accaduto alle diverse antenate stilensi, perde quel
senso di precarietà che ha sempre aleggiato sulla propria e sulla loro
esistenza; lo stop imposto dalla commissione murattiana alle peregrinazioni
delle ferriere è stato recepito dalle autorità borboniche. Avvenimenti importanti spingerebbero ancora a soffermarci su questo periodo, come le agitazioni dei minatori per il perdurare dello stato precario, e di parte degli operai e trasportatori, i cui malumori nascono dal mancato consolidamento di quelle conquiste sociali assaporate sotto Murat. Altri più interessanti fenomeni s'affacciano all'orizzonte del mondo economico ed industriale del meridione a partire dagli anni trenta. Riguarderanno da vicino la ferriera calabrese. |
|
|