Le Reali Ferriere      

ed Officine di  Mongiana

 

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Prefazione

Introduzione

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Tavola Misure Regno delle Due Sicilie

Indice Appendice

Real Decreto e Regolamento

Bibliografia

Bibliografia generale

Indice delle abbreviazioni

Indice delle note

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Capitolo 1  

(6°)

Storia

1808 - Prime amministrazioni militari. Il forte sviluppo sotto i napoleonidi

L'amministrazione Squillace dura fino a tutto il 1807. La ferriera nel frattempo ha continuato a consegnare parte dei propri pro­dotti all'Artiglieria che, memore della vecchia acredine, non ha perso occasione di rilevare ogni imperfezione nei materiali ricevuti e ha colto ogni opportunità per far giungere a chi di dovere le lagnanze. Verso la fine dell'anno il Corpo gioca le sue carte: i tempi sembrano maturi. Ancora una volta è stato sconvolto l'as­setto politico del paese; regge le sue sorti, e siede ora sul trono di Napoli Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone Imperatore. Ma la pace è lontana; inizia la guerriglia interna sorretta dagli inglesi padroni dei mari e dal Borbone di nuovo riparato a Palermo. Il Regno non potrà contare sulle importazioni, bisognerà fare affidamento sulle proprie forze. E' necessario sviluppare le risorse locali per il rifornimento delle armate.

L'Artiglieria sfrutta il momento e riesce ad ottenere una volta per tutte la tanto sospirata Mongiana rendendo la pariglia a chi in tempo di pace aveva vagheggiato un futuro diverso per la ferriera.

Dal dicembre 1807, con decorrenza 1 gennaio 1808, lo stabili­mento passa in mano ai militari e rimarrà saldamente, senza soluzione di continuità, sotto l'ala della Guerra e Marina per i prossimi cinquant'anni (48).

1808: è nominato Direttore il capitano Ritucci; il solito “racco­mandato” Squillace, che ne è stato amministratore, conserva ca­rica e paga ma viene spostato in contabilità con mansioni di cassiere, posto al quale sembra particolarmente affezionato.

Sta per iniziare per lo stabilimento un periodo felice, un'epoca viva,di forte espansione, piena di slanci progressisti. Bastano po­chi anni al fattivo ufficiale per riuscire là dove altri hanno fallito. Ritucci dà volto nuovo allo stabilimento, assegna a ciascuno un compito, pianifica il lavoro, concepisce e realizza quella confor­mazione verticistica dei quadri dirigenti che, approvata dalle au­torità, subirà in seguito poche modifiche. Organizza la piramide con il vertice nella Direzione, sorretta dagli ufficiali cui sono sot­toposti i Capi operai responsabili a loro volta delle diverse squadre (49).

Le difficoltà da superare per porre tutto l'apparato su un piano di efficienza sono molteplici, di non facile soluzione e immediata realizzazione, a cominciare dalle miniere le cui gallerie, deterio­ratesi col tempo, sono state abbandonate e risultano ostruite. Nel 1807 le gallerie ancora agibili sono due ma poco praticabili e in condizioni pietose (50). I minatori si sono ridotti a qualche decina, per lo più vecchi e malati. Qualche tempo dopo, Ritucci denun­cerà di avere a disposizione per tutta l'operazione di estrazione soltanto nove uomini e suggerirà ai responsabili del Ministero di assumere i cavatori delle soppresse saline di Nieti e Altomonte. La cosa gli viene concessa, e Pazzano è soggetta ad un rilevante fenomeno d'immigrazione. I nuovi arrivati vi si stabiliscono con soddisfazione reciproca; Ritucci incrementa l'estrazione, i cavatori si assicurano un posto di lavoro e vedono allontanato lo spettro della fame.

L'estrazione e le annesse operazioni di cernita e lavaggio sono seguite, sorvegliate e dirette da un ufficiale che ha l'obbligo di risiedere a Pazzano. A lui solo è accollata la responsabilità di rifornire il minerale alla ferriera.

Su tutto il territorio intanto, la disciplina militare dà i suoi frutti. La presenza del Corpo riesce a intimorire i proprietari dei terreni cui lo Stato paga il boscaggio e, applicando leggi già vigenti ma mai rispettate, è finalmente impedita la fraudolenta riconversione dei terreni disboscati in seminativi e da pascolo. Il decreto di salvaguardia del lontano 1773, fin'ora lettera morta, inizia ad avere il suo peso: a lungo andare sgraverà dall'assillo di reperire nuovi boschi.

I militari trasformano radicalmente i sistemi di ricompensa degli addetti alle fornaci, intorno alle quali sono stati sempre impiegati i “giornalieri”, cioé lavoranti a cottimo. Costringono gli artefici a consegnare una quantità di ghisa proporzionata al minerale e al carbone ricevuti; con questo semplice accorgimento evitano fuoriuscite di ghisa di contrabbando. Sostituiscono inoltre il sistema in voga alle forge fin dai tempi del primo Conty, con il pretendere dai ferrazzuoli un determinato grado d'affinazione stabilito da ri­gide regole. Dalle forge esce per la prima volta un ferro sod­disfacente e, allo stesso tempo, la ferriera riesce a sfornare proiettili di calibro esemplare e costante. L'Artiglieria si dichiara paga dei risultati e soddisfatta degli oggetti ricevuti.

In parallelo alla prima buona produzione “militare” se ne sviluppa una “civile”, suscettibile d'essere venduta direttamente ai privati. Tale produzione aveva visto la luce già all'epoca dei mineralogisti e di Squillace, ma solo sotto i militari la ferriera Real Principe inizia regolarmente la produzione di quadrelli e tondini. Il nuovo prodotto è immediatamente assorbito dalle fucine artigia­nali di Serra S.Bruno (circa 30 che occupano più di 700 addetti), specializzate nella lavorazione del ferro battuto, famose in tutto il Regno per i loro prodotti - soprattutto i “lettini” eseguiti “con pari industria che eleganza” - richiesti e apprezzati nella ca­pitale e che a Serra ricevono una particolare vernice color oro, segreto e vanto dell'artigianato locale (51).

Frattanto, la Mongiana ha visto crescere intorno a sé un certo numero di costruzioni ed è andata acquistando fisionomia di piccolo villaggio. Case e alloggi militari sono tutti di “fabbrica baraccate”: di semplice legno. Si contano già diverse di queste pioneristiche costruzioni, alcune sulla pianta quadrata, altre sulla rettangolare; la maggiore misura palmi 50 x 50. Sono adibite a caserma e alloggio ufficiali, sede degli uffici e Direzione più “una chiesa di tavole con campanile e orologio della capienza di canne 7x3 di conto del Governo” insieme a “circa trenta capanne di tavole ad uso dei mulattieri che vi fanno residenza, fatte a loro spese” (52).

Uffici d'amministrazione, Quartiere militare, alloggio ufficiali e chiesa sono state costruite con fondi governativi, vi risiedono “i Libbri Maggiori, il Notaro, il Contraloro, gli Ufficiali, i Sottouf­ficiali, un Caporale con dieci Armiggeri”. Gli operai, semplici e specializzati, durante il turno di lavoro (due squadre alla volta: una lavora, l'altra riposa; turni e settimane alterne come di regola in tutte le ferriere del Regno) alloggiano in ambienti comunitari ricavati: in Fonderia, al di sopra del Carbonile, in Ferriera, al­l'interno di camere attigue ai depositi. Abitualmente risiedono a Pazzano o paesi del circondario e, a dorso d'asino o più spesso a piedi, si sobbarcano ad estenuanti spostamenti tra luogo di la­voro e residenza. Alla fine del turno, con gli stessi mezzi, fanno ritorno alle famiglie. La condizione di pendolare appiedato e ar­rancante per oltre sessanta chilometri la settima, su sentieri ap­pena abbozzati e spesso innevati, è un grave handicap per tutta l'organizzazione del lavoro della ferriera. La logica della produ­zione inizia a imporre ai lavoranti di risiedere nelle immediate vicinanze del posto di lavoro.

 

Gli amministratori napoleonici saranno i primi ad affrontare il problema e a comprendere l'utilità d'evitare simile spola. La so­luzione escogitata, alla pari di tante altre prese in questo periodo, è drastica e naturalmente “impopolare”. E' proibito per sempre l'andirivieni dei mulattieri ramo-carbone poiché la ferriera con i boschi circostanti deve divenire il loro naturale centro operativo; dividono le schiere di mulattieri in due: i trasportatori ramo-mi­nerale rimarranno a Pazzano vicini alle miniere, mentre coloro che assicurano il rifornimento di carbone dovranno stabilirsi a diretto contatto di bosco e ferriera, e saranno obbligati a costruirsi pro­prie baracche nei pressi dello Stabilimento. Inoltre, per assicurare la continuità del servizio, di cui è palese l'insufficienza, stabi­liscono che quanti volessero in futuro essere impiegati con qua­lifiche generiche (meno pesanti di artefice e ferrazzuolo) dovran­no mettere a disposizione della fabbrica due muli a testa, le cui prestazioni saranno ricompensate a norma di tariffa; è certo una clausola discriminante e provocatoria per il disoccupato più umi­le, ma tant'è.

 

I militari non vanno dunque tanto per il sottile, mirano al sodo delle questioni e le risolvono sempre con il consueto autorita­rismo. Ma non si comporteranno sempre da “duri” e in molte circostanze preserveranno gli operai da ulteriori vessazioni sug­gerite dai lontani “esperti” del Ministero sempre tesi a mungere al massimo le ferriere; è nota del resto la fame di ferro che affligge l'impero napoleonico. Sappiamo anche che in questi anni parte del prodotto mongianese, imbarcato alla Dogana di Pizzo, prende la rotta dei porti di Francia.

 

Sul fronte dei costi di gestione, Ritucci ha ben altre gatte da pelare. L'alto costo del trasporto di minerale, sul lungo percorso Monte Stella-Mongiana, dai due Conty e da Squillace era stato, se non pareggiato, almeno contenuto dal basso costo del carbone fabbricato sul posto. Poche decine d'anni di tagli incontrollati sono valsi ad allontanare i boschi al pari delle miniere; in più, ora i carbonari sono riluttanti ad allontanarsi dallo stabilimento perché spesso sentieri e comunicazioni sono minacciati dalla presenza delle temibili bande di briganti che, con la protezione morale borbonica e l'aiuto materiale della flotta inglese, terrorizzano la zona (53).

 

Ritucci elabora un piano risolutivo; pensa a una possibile divi­sione di compiti tra l'abbandonato complesso di Stilo, che prevede di riattare, e la Mongiana. Progetta di assegnare al primo la sola fase di prima fusione e alla seconda tutto lo stadio di af­finazione ed elaborazione dei manufatti. Così facendo, si restringerebbe l'area d'influenza delle bande e, concentrando il grosso della lavorazione in un impianto a portata di bosco si potrebbero evitare ai carbonari lunghe soste lontano dai centri abitati. Tale preoccupazione però non è la sola che spinge il Direttore ad ideare il piano; lo spingono motivi assai più concreti: la volontà di diminuire i costi del carbone e il fatto di avere trovato a Mongiana due altiforni, dei quali uno lesionato, ventilati da pessime trombe e inutilizzabili per gran parte dell'anno (54). Per le normali vie gerarchiche inoltra la proposta al Ministero della Guerra, dove qual­che fervida mente da tavolino penserà bene di dovere superare in arditezza e complicazione il non già facile piano e spingerà Gioac­chino Murat, che ha sostituito Giuseppe Bonaparte, ad istituire una commissione di studio per cercare il modo di trasferire le attrezzature di Mongiana all'interno dei ruderi della Certosa e del convento di Soriano, un'idea pressocché assurda. Comunque, la commissione è istituita con lo scopo essenziale di trovare il sistema di ampliare il settore siderurgico (55).

 

1811, 27 aprile: la commissione s'insedia alla Mongiana e tiene la sua prima seduta nell'alloggio del Direttore: “... il Presidente Ritucci aperse in questo giorno la sessione tenuta nel suo albergo del/a Mongiana con un discorso eloquente in presenza dei commissionati Paolotti e Melograni, col quale fece comprendere nel giro di poche parole l'estensione di fermezza e l'utilità dei suoi piani...”. Il succo di tale discorso può sintetizzarsi in: prov­vedere ai bisogni dello Stato e a quelli militari con l'ampliamento delle ferriere. Ritucci, Presidente della commissione, “conchiuse il suo ragionamento invitando i commissionati a concorrere nelle sue mire, e a mettere in mezzo i loro lumi e a rendersi degni della scelta che il Governo aveva fatto di essi per condurre un affare di tanto momento” (56).

 

Fanno parte della commissione il vecchio Melograni, di nuovo in auge con i francesi, e l'ingegnere Paolotti, membro dell'appena costituito Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade (57). Essi dovranno esaminare, decidere ed indicare il luogo consono al trasferimen­to, la spesa occorrente alla costruzione di una ferriera nuova, quella necessaria nel caso fosse possibile utilizzare impianti esistenti ma abbandonati. Dovranno stendere un progetto unito al calcolo per la costruzione di forni a riverbero e di officine da stabilire nei ruderi suddetti o in altro luogo ritenuto più adatto. L'ingegnere dovrà approntare i calcoli per gli acquedotti e pro­porre un tracciato stradale che apra la via ai collegamenti tra miniere, ferriere e porti d'imbarco. Melograni, in qualità di Perito Forestale, individuerà i boschi necessari, regolerà i tagli annuali e dovrà occuparsi del ripristino dei boschi, attesa la particolare vegetazione locale, per ottenerne la perpetuazione.

[fig.8] 

Soldato dell’Artiglieria a Cavallo della Guardia murattiana in alta uniforme. 1812-15 (Museo di S.Martino. Napoli).

Dalle discussioni fra i tre scaturiscono molte proposte degne di nota, alcune di ordine tecnico, altre a carattere sociale e pratico. Discutono ad esempio il progetto, purtroppo accantonato per motivi logistici collegati alla politica internazionale, di usare carbone artificiale alla maniera inglese. Il Blocco Continentale imposto da Napoleone non permetterà di concretizzare l'iniziativa, tuttavia favorisce la rivalutazione della miniera di grafite di Olivadi con la quale è assicurato un componente basilare della pratica metallurgica. Aguzzando gli ingegni, spinti dal regime autarchico, i tre scoprono che per lo staffaggio possono essere usate con notevoli vantaggi le sabbie di S.Angelo (nel circondario di Soriano). Tali sabbie si rivelano migliori di tutte le altre usate in precedenza ed importate da lontano. In località Faglicello, un quarto di miglio dalla ferriera, rinvengono una particolare argilla ottima per la fab­bricazione dei mattoni refrattari, importati fin'ora dall'inghilterra, superiori di qualità, e naturalmente di prezzo inferiore rispetto agli inglesi. La creta e le argille speciali richieste nella costruzione delle anime dei proiettili esplodenti le rinvengono lungo la strada per le miniere, ad appena mezzo miglio da Mongiana.

[fig.9]

Baracca per alloggio truppa del periodo murattiano (BNN, Sez. Manoscritti e rari).

Se è inattuabile il partito del coke, trova consensi la proposta di  forno a riverbero (58) ma, prima di passare all'attuazione del programma, sono del tutto sostituite le vecchie ed inefficaci trombe d'alimentazione dei due altiforni. Paolotti sensibilizza tutti sull'opportunità di costruire strade di servizio che consentano il trasporto con i carri in luogo di quello effettuato con i soli animali. Melograni tiene un piccolo corso d'istruzione forestale che serva di norma agli incaricati della sorveglianza e, su proposta di Ritucci, è accettato il principio di seminare, nelle radure spoglie, essenze di rapida e facile crescita. Il mineralogista ottiene via libera nell'attuare una sua vecchia idea e ordina il taglio dei soli boschi bassi che, a parità di condizioni vegetative, frutta carbone esente da sfrido e di superiore tenore calorico. Tutti convengono sull'opportunità di accatastare nei depositi le provviste necessarie alle campagne annuali  il Governo è invitato ad erogare i fondi ed è sollecitato a inviare regolarmente e in anticipo le rimesse necessarie ad acquistare in tempo carboni, minerali e ogni altro genere di prima necessità.

[fig.10]  

Moneta fusa a Mongiana il 27 giugno 1806 e dedicata al Generale Louis Ebenezer Reynier. (Napoli, Collez. Catemario di Quadri. Da A. Mozzillo “Cronache della Calabria in Guerra”.

 

L'analisi sulla situazione della ferriera è affrontata con notevole lucidità; nei mesi di permanenza a Mongiana, fianco a fianco con operai e impianti, gli esperti della commissione rilevano l'incongruenza di trasferire tutto l'impianto mentre comprendono l'urgente necessità di avviare serie riforme per incrementare l'impianto esistente e avvertono l'utilità di rimettere in sesto l'impianto abbandonato di Stilo. E' accettato in pieno il piano di Ritucci ed è aperta così la strada alla costruzione di quella che anni dopo sarà la Ferdinandea.

Nella tornata conclusiva del 16 settembre, scartato il trasferimen­to nei conventi, la commissione perviene alle seguenti conclu­sioni: “... le ferriere vecchie e dirute del Demanio di Stilo, e precisamente il sito designato nella loro vigilanza detto il Piano della Chiesa, lo stesso indicato nella Seconda Memoria del Sig. Presidente chiama a sé le novelle fornaci, le chiama a ragion veduta e a titolo giustificatissimo.

[fig.11] 

Prospetto e sezione orizzontale di un forno a mantici da realizzare nelle ferriere di Stilo. Disegno firmato: Rosario Borelli, 1812 circa.

Offre esso il locale più opportuno e comodo, la posizione, più vantevole che riunisce in sé tutti i caratteri, gli attributi che esige la costruzione, l'alimento e la suppellettile di due forni alti, una copia d'acqua capace d'a­nimare le ruote, proveniente dalla confluenza di tre ruscelli. Un bosco a faggi di 40 anni, di 50 migia di circonferenza, la vicinanza alla miniera di Pazzano, il servirsi dei trasporti degli animali di Bivongi e Pazzano e mille altri aiuti.

La Commissione infatti, dopo mature riflessioni, ha pensato di doversi sulle prime, nello stesso luogo del Demanio di Stilo, ripiantare due fornaci alte, evitando tutti i vizi annessi alle antiche esistenti nella Mongiana, per la loro configurazione, pel macchi­nario per costruirle perciò di quella forma che più conviene al­l'arte metallurgica, forma che mentre restringe ed eleva la tem­peratura del calorico vada a contribuire all'economia del carbone e rendere il processo più spedito e più sicuro animandoli con un ordine novello di soffietti che, scevro e sgombro, di particelle acquose, versi nel forno una copia d'aria asciutta, costante, equabile, che decide quasi sempre della buona riuscita della fu­sione..." (59).

[fig.12]

Spaccato assonometrico del forno a mantici.

 

Pilotata da Ritucci, la commissione rende giustizia al piano del Direttore che, a ben vedere, è lo stesso vecchio piano già proposto da Savaresi e Faicchio: una buona parte di Mongiana, forse la migliore, deve tornare là da dove è venuta; l'impianto locale dovrà specializzarsi in ogni genere di manufatti militari.

La descrizione degli erigendi forni di Stilo, contenuta nelle con­clusioni della commissione, ci permettono di datare alcuni di­segni dell'architetto Rosario Borelli rinvenuti privi di datazione alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Che siano collocabili nella fase progettuale del nucleo murattiano di quella che diventerà poi la Ferdinandea, lo fa supporre sia la descrizione che ben si attaglia ai disegni, sia il fatto che gli stessi siano fortemente in­fluenzati dalla cultura e dalla grafica dell'Encyclopédie. Inoltre, tutti i forni precedenti e posteriori della zona erano e saranno sempre ventilati a “bucolari” (iniettori delle trombe) mentre i soli mantici adoperati lungo l'arco della vicenda mongianese e stilense sono stati quelli della “fornace all'uso di Germania” co­struita e subito demolita dai mineralogisti prima del 1799 che oltretutto era animata da mantici in legno molto piu antiquati di quelli del progetto Borelli (60).  

[fig.13] 

Mantice in legno da fornace di tipo settecentesco (Planche de l’Encyclopédie).

Iniziati nel 1814 su consiglio della commissione, i lavori di ri­pristino dei ruderi del vecchio impianto di Piano della Chiesa abbandonato all'epoca di Massimiliano Conty, saranno sospesi per la caduta del regno murattiano.

Così, per i continui cambi al vertice del paese, qualcuna delle proposte della commissione si blocca allo stadio di utopia, al­cune si fermeranno allo stato embrionale, altre invece avranno immediata svolta pratica.

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