Le
Reali Ferriere ed Officine di Mongiana |
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Capitolo 1 (5°) Storia 1771 fondazione di Mongiana, emanazione delle antiche Ferriere del Bosco di Stilo Chiarito
perché e da chi, sarà possibile accertare anche in che modo sia stata
costruita Mongiana, ma “quando” ciò sia avvenuto è stato un mistero
d'intricata soluzione nel quale, a leggere le storie dell'industria italiana,
anche noi siamo rimasti invischiati prima di riuscire a venirne a capo. Gli
storici non sono mai apparsi concordi, spesso hanno tirato a indovinare e hanno
azzardato le ipotesi più disparate. Altri che si sono cimentati nell'impresa
hanno fornito varie risposte e a volte sono giunti all'inverosimile datando la
fondazione nel 1736 (a due soli anni dalla conquista del Vicereame da parte dei
Borboni e addirittura dodici anni prima della venuta dei sassoni) attribuendo
a Carlo un merito che spetta tutto al suo successore Ferdinando IV (33). Antichi
cronisti come il Tedeschi (34)
sono assai più vicini al vero quando collocano la fondazione nel 1782
(sulle loro tracce molti contemporanei). La confusione degli scrittori
meridionali postunitari è giustificata dalla sommarietà di dati che hanno
potuto fornire sull'industria meridionale: argomento tabù dopo l'Unità che
spingeva molti a disertare il campo e sottrarsi così al marchio infamante di
“federalismo” e tentare d'evitare di essere tacciati di miope provincialismo
o, ancor peggio, di agiografia borbonica. Gli
autori contemporanei, quando hanno tentato di tracciare una storia
dell'industria meridionale, hanno sperimentato le difficoltà di reperire
documenti inerenti le attività del Mezzogiorno preunitario (35).
L'attività industriale del Meridione è insomma sconosciuta ai più e, non a
caso, quando in Italia si parla (e si scrive) d'industria il pensiero corre
immediatamente solo a quella settentrionale, ritenuta storicamente
“l'unica”. Tutte le storie industriali italiane tendono a diminuire o
“dimenticare” quella del Regno di Napoli che invece, a quanto oggi risulta,
non sembra essere stata di lieve entità sia sul piano quantitativo che su
quello qualitativo. Conosciutissima è, al contrario, la “vocazione”
agricola del Mezzogiorno sostenuta dai molti padri carismatici della questione
meridionale. Costoro non hanno quasi mai tenuto in gran conto la componente
industria fuorviati dalle abili cortine fumogene sollevate ad arte dall'allora
nascente capitalismo liberale che si serviva delle ragioni di politiche di
“mercato e libero scambio” per nascondere politiche di sfruttamento e
sottrazione di risorse al Sud. Solo da alcuni decenni - dopo Gramsci - si
registra il tentativo di storicizzare molti fenomeni del Mezzogiorno e il loro
evolversi all'interno del paese. Finalmente
si può guardare a quella del Sud non più come ad una industria avulsa dalla
realtà economica e sociale. Basterebbe tenere presente alcuni dati, dedotti
da recentissimi saggi, per rendersi conto di quanto essa fosse radicata nel
contesto meridionale e per conoscere l'importanza di questo patrimonio
industriale, privato e pubblico, sacrificato con tutti i suoi dipendenti sull'altare
della politica unitaria, lo stesso altare sul quale sarà bruciata e si
dissolverà Mongiana. Nel 1859-60 il Regno di Napoli, Domini al di quà dal
Faro, cioè il Mezzogiorno continentale, ha una popolazione di 7.000.000 di
abitanti, la popolazione attiva si aggira intorno al 48%, gli addetti alle
industrie - escluse le attività artigianali - sono 195.000, distribuiti in 5000
opifici grandi e piccoli, e costituiscono il 6% della popolazione attiva. 1860:
l'industria delle regioni al di quà dal Faro, escluse quindi Sicilia e isole
minori, impiega oltre il 27% degli addetti di tutti gli Stati italiani
messi insieme! (36). Confusione,
dicevamo, degli autori sull'origine dello stabilimento. Tra
tanta incertezza, il primo e unico finora che colloca correttamente l'inizio
delle attività nella deserta valle di Mongiana è U.Caldora nel saggio dedicato
alla Calabria sotto i Napoleonidi. La data gli è fornita da una raccolta di
manoscritti amministrativi della ferriera, collezione unica conservata dalla
Biblioteca Nazionale di Napoli. Grazie
ad essa abbiamo la data: 8 marzo 1771. La
forniscono il quarto e il quinto Direttore della Ferriera, Capi Battaglione del
I Reggimento di Artiglieria a piedi, Vincenzo Ritucci e Michele Carascosa i
quali nei loro scritti ripercorrono in breve la storia dello stabilimento dalle
origini per fornire i dati comparativi tra la propria e le gestioni precedenti.
Ritucci annota il solo anno, Carascosa anno, mese e giorno. Nessun
dubbio sull'autenticità della notizia e sulla buona fede nei due perché tutti
i Direttori, da Conty in poi, avranno a disposizione l'archivio amministrativo
della ferriera dove, fin dall'inizio e anche con soverchia pignoleria,
troveranno catalogati e conservati i più minuti atti amministrativi. Qualche
perplessità potrebbe sorgere sul significato della data e cioé se debba essere
riferita ad un ipotetico, improbabile avvio del ciclo di produzione o più
semplicemente, e verosimilmente, al beneplacito di trasferimento nella valle.
Propendiamo per la seconda ipotesi perché sostenuta da una serie di
considerazioni. La prima è che proprio a partire dal 1771 l'Erario napoletano
inizia a versare all'estero per il rifornimento di ferro grezzo e manufatti una
cifra esorbitante, mai raggiunta prima, con un tetto di oltre mezzo milione di
ducati l'anno. Ora,
se già dal 1771 la Mongiana fosse stata in funzione, la spesa negli anni
successivi sarebbe diminuita o almeno sarebbe stato più contenuto il
rifornimento di grezzo, ma ciò non avvenne. La seconda considerazione è che la
ferriera nel 1771 in nessun caso avrebbe potuto iniziare a produrre in quanto,
conoscendo la tecnica d'alimentazione dei suoi forni così legata alla portata
dei corsi d'acqua, sappiamo - e sarà chiarito nel capitolo “Acque” -
che solo dopo il 1771 saranno livellati il Ninfo e l'Alaro per creare le cadute
necessarie a fornire l'aria ai processi di fusione e le pendenze indispensabili
a fare acquistare all'acqua la velocità per muovere ruote e meccanismi
collegati. In
ultimo, è improbabile che la prima campagna fusiva sia iniziata alla fine
dell'inverno quando pochissimo tempo utile resta prima della magra estiva del
flusso d'acqua, problema al quale non riusciranno a dare definitiva e
soddisfacente soluzione neanche le livellazioni dei corsi eseguite dopo il 1771
dall'architetto Gioffredo. Come
data d'inizio produttivo potrebbe prendere consistenza quel 1782 che il Tedeschi
reputa anno di fondazione; ma, anche così, ritenendo valida la data di
Tedeschi, e supposto che nel 1782 dai due altiforni di Mongiana (Santa Barbara e
Sant'Antonio) sia uscita la prima ghisa, bisogna supporre che questa attività
iniziale possa essere durata un solo anno perché è impossibile che quanto già
installato nella valle possa essersi sottratto al tremendo terremoto che nel
1783 scuote la Calabria, le cui violentissime scosse si alternano per oltre
dieci mesi alla fine dei quali: “... della meridionale Calabria non restava
che un immenso sfasciume...”. Tra
le più provate: la Piana di Gioia Tauro, epicentro del sisma, la zona limitrofa
delle Serre dove ".. la più completa annichilazione erasi fatta degli
uomini e delle cose; del suo suolo non si distinse più una spanna dell'antica
fisionomia... monti emersero, altri disparvero, fiumi inabbissarono ed immense
voragini, talune di ben sei miglia larghe, sorte dove prima ricche piantaggioni
sorridevano, diedero letto a duecento e più laghi, infami per aere e per più
triste ricordanza..." (37). Anche
se molto corrisponde al vero, c'è una enfatica esagerazione nel cronista.
Certo è che le Serre sono intensamente investite dal fenomeno tellurico e tra
l'altro lamentano il crollo dell'antica Certosa e del non meno importante
convento di S.Domenico a Soriano. Da tanta violenza e fra tanta distruzione non
è possibile che le attrezzature già esistenti a Mongiana, che dista pochi
chilometri da Serra e Soriano, siano potute uscire indenni. Avvalora l'ipotesi
l'assoluta mancanza di dati produttivi inerenti la nuova ferriera mentre al
contrario, nello stesso arco di tempo (fino al 1790), Conty va annotando molte
minuzie concernenti le non ancora abbandonate ferriere di Stilo delle quali è
rimasto ancora unico responsabile. Neanche un dato produttivo dal Fondo Mongiana
di Catanzaro, nemmeno uno sull'eventuale attività della nuova ferriera in
questi anni anche se, a credere ad una tradizione orale raccolta da Carascosa
tra i più vecchi artefici, un accenno produttivo pare ci fosse stato, ma che
non si fossero ottenuti, sotto la guida di Giovanni F. Conty, apprezzabili
miglioramenti e che al contrario il ferro delle prove (potrebbero essere quelle
del 1782) fosse risultato più caro che a Stilo per la maggiore distanza dalle
miniere di Pazzano e l'alta incidenza dei costi di trasporto del minerale. Nessuna
traccia di produzione fino al 1790, anno in cui muore Giovanni F. Conty. 1791:
l'Amministrazione della ferriera passa nelle mani di suo figlio Massimiliano. La
stessa tradizione orale raccolta da Carascosa attribuiva al padre “somma
onoratezza e una molta attività” anche se “le sue conoscenze erano
del resto quelle di un divoto spagnuolo” (38). L'ultima
espressione ha tratto in inganno molti scrittori che, travisando il senso
della frase, sono giunti a ritenere spagnolo Conty che invece era un napoletano
dalle lontane origini francesi. Le brevissime parole del quinto Direttore sono
le uniche che aprano uno squarcio e gettino luce sulla figura di colui che ha
voluto, sollecitato e diretto la costruzione del primo nucleo mongianese e che,
anche se la cosa da lui non era prevista, a buon diritto può ritenersi il
fondatore del paese. Uomo alacre e rispettato ma, legato a cognizioni troppo
radicate e già superate, restio ad innovazioni. Infatti i sistemi e le
tecnologie di produzione della primissima Mongiana sono la copia esatta di tutti
quelli che a Stilo non avevano brillato certo per efficienza, e che lui stesso
aveva avuto modo di giudicare poco idonei. La
nuova ferriera e la sua conformazione, sono lo specchio del carattere
conservatore di Conty; unico suo merito sembrerebbe quello di avere condotto
l'arrugginito e affamato gregge stilense verso i più abbondanti pascoli della
valle dell'Alaro. Suo
figlio Massimiliano ha altro carattere e maggiore apertura, ma pagherà
purtroppo gli errori della impostazione paterna (imputabile anche ad una serie
di fattori esterni: ristrettezze economiche, terremoti, sommaria
ricostruzione, ecc.). Sotto
Conty-figlio si manifestano gli inconvenienti di un progetto concepito in
economia, senza respiro e con sostanziali difetti. Il territorio è rimasto,
come prima, senza rete stradale alternativa alle accidentate mulattiere, la
ferriera è stata messa in funzione con un impianto nuovo ma non privo di
difetti, in situazioni climatico-ambientali che per lunghi mesi bloccano i
lavori. Per parte sua, a Massimiliano può essere imputato di non riuscire a
fare rispettare le leggi sul boscaggio varate “pro Mongiana” nel 1773.
Continua indisturbata la cieca opera della scure alla quale nulla hanno
insegnato le funeste precedenti esperienze e, anno dopo anno, le foreste si
allontanano sempre più. Massimiliano non provvede, e del resto non ne ha la
possibilità, a migliorare la condizione operaia, esasperata ulteriormente dal
padre con il costringere gli addetti a isolarsi per lunghi periodi nella valle
ancora deserta, lontani da famiglie e affetti. E costretto dal sistema in voga
nello Stato ad applicare generiche tariffe a cottimo che ancora una volta
favoriscono i fenomeni di contrabbando, piaga estesa tuttavia a ogni ferriera
del Regno (39). Basse tariffe e cottimo
contribuiscono a mantenere scadente la qualità dei prodotti perché i “ferrazzuoli”,
costretti a comprare la ghisa per riconsegnarla purificata, vengono retribuiti
in base alle quantità di ferro restituite. Spinti da questo sistema, gli
artefici sono indotti a raffinare poco la ghisa per riuscire a consegnare
ferro in quantità maggiore evitando lunghe operazioni di ricottura e sprechi di
scorie. Seguitano ad essere ricompensate male le opere fornite in galleria
dove i minatori, con l'ansia del cottimo, sfruttano i filoni a casaccio là dove
minore è la fatica, più facile l'estrazione, meno ricca e compatta la vena.
Non meglio retribuiti sono boscaioli, spaccalegna, carbonari e mulattieri che a
loro volta trovano il modo di arrotondare i magri guadagni sottraendo e vendendo
materiali della ferriera. C'è
da aggiungere, prima di passare ai dati produttivi di questo periodo, che la
Mongiana è stata costruita senza un piano organico e priva della munificenza
che caratterizza contemporanee imprese (vedi S.Leucio), a dimostrazione del
carattere speculativo e non demagogico dell'impresa. In
sostanza, sono stati costruiti due altiforni (40)
installati sotto una misera tettoia sorretta da nude mura perimetrali con
varchi liberi, senza portoni o chiusure di sorta. Questa spoglia costruzione,
che prende subito il pomposo nome di Regia Fonderia, è affiancata da quattro
ferriere di dolcificazione: semplici baraccamenti di legno contenenti i fuochi
d'affinazione. La pratica vuole che siano divise fra loro, ad una certa distanza
le une dalle altre, per consentire lo sfruttamento delle successive cadute
d'acqua. Sono collegate da viottoli sterrati e da qualche ponte costituito da
tronchi sormontati da tavole. Che
la Mongiana abbia avuto questa conformazione, oltre dall'esatta descrizione
lasciata dai militari, lo si ricava dalle voci di spesa per le riparazioni
annuali cui sono soggette le officine. Per simili “restauri” si usano
tavole, tronchi, chiodi, colle e materiali che escludono la presenza di edifici
in muratura. Per la sola Fonderia si fa ricorso a mattoni e a tegole sottratte
alle macerie della Certosa di Serra S.Bruno. Con
Conty-figlio è possibile tastare il polso alla ferriera, controllare la
capacità dell'impianto, verificarne la produttività annuale che risulta di
3705 cantaia di ghisa e 1872 di ferro fucinato; poco più della metà della
ghisa raffinata in loco è ridotta alla forma di proiettili, unici manufatti
previsti dal ciclo mongianese insieme a qualche timido tentativo di getto di
bocche da fuoco delle quali il grosso della lavorazione è rimasto a Stilo. La
quantità, lontana dall'optimum che potrebbe sfornare la Mongiana, non è in sé
esigua ma è insufficiente ad esaudire l'ambizione di affrancare il paese
dalle importazioni di ferro straniero, il cui costo e qualità regge
vantaggiosamente il confronto con il nuovo prodotto nazionale. Il
forte consumo di minerale e carbone, gli alti costi di gestione, le qualità
ancora scadenti versano acqua sul fuoco e raffreddano le speranze, già
intiepidite dalla lunga gestazione occorsa per avviare il nuovo stabilimento. 1796:
l'Artiglieria lamenta la pessima qualità dei ferri, i difettosi calibri dei
cannoni, l'approssimativa fattura dei proiettili e dei materiali ricevuti dalla
Regia Ferriera di Mongiana. Si pensa di affidare il compito di dirigerla ai
militari del Corpo; si decide di inviarvi un ten. colonnello e due capitani a
sorvegliare i lavori, ma le contemporanee vicende europee distolgono il Governo:
il progetto è bloccato; si sospende l'invio dei militari. Per
il Napoletano, schierato con l'Europa della Coalizione, sono tempi difficili e
instabili per lo stato di belligeranza con la Francia repubblicana; al solito,
prime a soffrirne saranno le tanto vitali importazioni. Stretto dall'urgenza, in
vista della spedizione per la riconquista di Roma contro i francesi di
Championnet, il Governo si rimbocca le maniche e tenta di dare maggiore autonomia
al settore siderurgico. Sotto mano, freschi di studi e impazienti di mettere a
frutto le esperienze acquisite, il Governo si trova i mineralogisti tornati dal
viaggio europeo. Si chiede loro di mettersi all'opera e su due piedi è
impartito l'ordine di partenza per Mongiana e le miniere; ai quattro prescelti
è affidato ampio potere decisionale al fine di concretizzare le migliorie
adatte al potenziamento dell'impianto. Il
gruppo, al quale si aggregano i minatori tedeschi, l'ingegnere e il pittore,
giunge alla ferriera nei primissimi mesi del 1789 e, resosi conto della mole di
lavoro che lo attende, si mette immediatamente all'opera. I minatori, con a
capo Melograni, vengono dirottati su Pazzano e le miniere, dove iniziano
sondaggi alla fine dei quali aprono le gallerie Carolina, San Ferdinando, Principe
Ereditario (41). A Faicchio tocca il compito di
organizzare il ramo forestale e curare la carbonizzazione. Savaresi segue da
vicino i sistemi fusivi, avvia migliorie, sorveglia le fasi di lavorazione e
vigila sui rifornimenti (42). Su
tutti primeggia per competenza e solerzia il solito Tondi, indiscusso capo del
gruppo al quale tutti fanno riferimento. E' lui a fornire il contributo più
positivo, con la conseguenza di rendersi inviso a impiegati e operai ai quali
impone un maggior rendimento. I
mongianesi non perdoneranno a questo “teorico” d'essere venuto a
sconvolgere le locali abitudini e i lenti ritmi produttivi precedenti. Tondi e
colleghi non sono bene accetti, poca simpatia per loro nutrono i vecchi
capi-artefici, gli stessi operai non perderanno l'occasione di beccarli per
l'infelice risultato della fornace a mantici. In
un'atmosfera poco fattiva, tra rapporti non facili, trascorre il 1798 ed inizia
il 1799, anno cruciale non solo per la piccola ferriera calabrese ma per tutto
il Regno. Alla
fine del 1798, le truppe napoletane sono entrate trionfalmente in Roma per
arginare lo strapotere francese e rimettere sul Soglio il Papa ma, sotto
l'imprevista controffensiva di Championnet, la spedizione ha esito infelice per
Ferdinando che, incalzato dal generale francese, abbandona precipitosamente il
campo e si rifugia a Palermo. Penetrati in Napoli, accolti con giubilo e proclamata
la Repubblica, i francesi scendono in Calabria; i mineralogisti rimangono sul
posto e non vengono distolti dal compito ricevuto dal governo decaduto, ritenuto
utile anche dal nuovo regime. Alcuni mineralogisti, come Tondi e Melograni,
manifestano piena solidarietà con le nuove istituzioni repubblicane ed
esternano disprezzo per quanto di vecchio e codino esista ancora nel paese.
Purtroppo per loro, trascorrerà poco tempo che dovranno amaramente pentirsi
di aver criticato pubblicamente i Borboni. 1799:
a febbraio, sbarca in Calabria il Cardinale Ruffo - intorno al quale in breve si
raccolgono quelle tristi e raccogliticce bande note come Sanfediste - per
tentare di recuperare il paese alla monarchia. Tra i primi obiettivi: Mongiana.
Le bande si attestano a Serra e, lungo le strade di montagna , bloccano i
rifornimenti di ferro e proiettili alla capitale. Al
loro approssimarsi scoppiano a Mongiana tafferugli e saccheggi. All'arrivo dei
sanfedisti, quanti in precedenza sono stati tacciati di retrogrado
atteggiamento monarchico hanno modo di ricambiare le cortesie e si vendicano
additando i mineralogisti quali peggiori sovvertitori dell'ordine e più accesi
fautori della Repubblica. Più angariati degli altri sono Tondi e Melograni ai
quali però gli stessi che stanno andando al sacco di Crotone risparmiano la
vita (43). Per
ordine del Cardinale, su consiglio del Rodio, è arrestato Massimiliano Conty,
reo di avere appoggiato i piani della Repubblica e aver posto la ferriera al suo
servizio. Rilasciato dopo molti mesi, Massimiliano si reca a Napoli a perorare
la propria causa e a sollecitare la reintegrazione nell'ufficio che, nel
frattempo, per ordine del colonnello Winspeare, Preside di Catanzaro, era stato
affidato a Vincenzo Squillace, capomassa organizzatore delle bande del
Cardinale, al quale la Corte aveva concesso fiducia e protezione. La
reintegrazione gli è naturalmente negata dalle autorità borboniche, di nuovo
grazie al Ruffo, padrone del paese, e Massimiliano, caduto in uno stato di
profonda ipocondria., ne muore (44). Ristabilita
la pace nel Regno, i mineralogisti fuggiti dalla Mongiana acconsentono a farvi
ritorno, meno Tondi e Melograni, esule in Francia il primo, non riconfermato il
secondo quale autore di una Memoria dedicata alla Repubblica. Rimangono dunque
Savaresi e Faicchio, e il Ministro delle Finanze, nel rinnovare fiducia,
pretende da loro l'invio di un dettagliato rapporto sull'andamento delle cose
alla Mongiana, di cui conosce la cattiva gestione e la mancanza di metodo (45).
I due inoltrano un progetto, che sarà in seguito avallato dal Ministro e
approvato dal Re, nel quale prevedono di potenziare la ferriera mongianese e
ripristinare le ferriere di Stilo abbandonate sotto Massimiliano Conty. 1800:
a luglio, mentre si registra il tentativo di dare corso al progetto, il re,
nell'intento di porre la ferriera sotto il controllo delle truppe fedeli,
sancisce il passaggio dalla Direzione delle Finanze a quella della Guerra e
Marina. La Direzione d'Artiglieria invia ufficiali a sorvegliare i lavori. 1801:
giunge alla Mongiana il capitano Ribas che abolisce il getto dei proiettili
“in conchiglia” e vi sostituisce lo “staffaggio in sabbia”. In
un continuo va e vieni di dirigenti, tra ordini e repentini contrordini, la
ferriera accusa mali tipici a chi ha troppi comandanti da soddisfare e troppo da
eseguire. La direzione economica è rimasta saldamente nelle mani di Squillace
che, né militare né tecnico, è solo un ex arruffapopolo il quale tuttavia se
la cava benissimo nel concludere vantaggiosi contratti e rivela una “sottile”
capacità amministrativa. Squillace dunque non è stato rimosso dall'incarico,
ma è in contrasto con gli ufficiali che, suo malgrado, di fatto dirigono la
ferriera in virtù del decreto reale; egli è però “vicino” ai
mineralogisti che, alla pari dei militari, si arrogano il diritto di fare e
disfare, forti dell'approvazione reale al proprio piano di sviluppo: Squillace
trova tempo e spazio per giostrare con l'amministrazione. Tutti comandano e
hanno voce in capitolo. Tutelatore degli interessi della ferriera, e propri, il
primo; interessati a quantificare la produzione e responsabili dei rifornimenti
all'esercito i secondi; unici e veri esperti, chiamati a risolvere le faccende
della ferriera, si ritengono i terzi. Nessun coordinamento esiste tra gli
opposti schieramenti, a soffrirne sono i poveri, frastornati artefici i quali
non sanno più a chi dare ascolto. 1802:
ha inizio una logorante guerra dei nervi tra militari e civili. Più
pratici e concreti i primi ma, legati dal servizio, tesi unicamente a
sviluppare la produzione militare. I mineralogisti, sono più lungimiranti, meno
intransigenti nonostante la vecchia ruggine con i subalterni, meno chiusi in
visioni settoriali e più consapevoli del ruolo da assegnare alle ferriere in
un paese che voglia essere moderno. Savaresi e Faicchio sono disponibili a nuove
sperimentazioni che, al contrario, agli occhi dei militari rappresentano solo
inutili perdite di tempo e danaro. Il
precario equilibrio è rotto tra accuse e reciproche recriminazioni che
coinvolgono prima le alte sfere dei rispettivi Ministeri, poi il Governo che
dovrà ascoltare le diverse campane per decidere a chi spetti in pratica il
compito di dirigere la ferriera. Hanno
buon gioco i mineralogisti nel dimostrare che soltanto con impianti
ristrutturati e all'avanguardia il paese potrà sperare in futuro di cavare
qualcosa di buono dalla Mongiana e che il Regno, oltre alle armi, ha bisogno
di manufatti a sostegno di tutte le attività del vivere civile poiché si
risente mancanza di prodotti vitali come zappe, seghe, chiodi, pale, ferro
filato e ogni altro attrezzo utile all'espansione dell'agricoltura e
dell'artigianato. 1803:
non si può disconoscere la validità di simili argomentazioni e, pur essendo il
paese ancora in stato di all'erta, la ferriera ritorna sotto l'egida delle
Finanze che vi riconferma tanto i mineralogisti che Squillace. Sotto
la guida dei tecnici sono perfezionati gli altiforni, sono assegnate alle
quattro ferriere di dolcificazione (S.Carlo, S.Bruno, S.Ferdinando e Real
Principe) compiti diversificati e complementari. Cresce il prodotto medio
annuale che passa a 4110 cantaia di ghisa e 2293 di ferro. Si registra un
aumento di rendimento dell'ordine del 10% tra minerale impiegato e ghisa prodotta
e tra questa e il ferro dell'affinazione. I prezzi di vendita subiscono lievi
ritocchi al ribasso e contemporaneamente sono stipulati nuovi contratti di
lavoro (1804) con tariffe che, sebbene ancora insufficienti, sono migliori delle
precedenti (46).
Nel 1805 sono licenziati i minatori tedeschi perché “niente facendo più
di quanto non facciano li naturali di
Pazzano” (47)
se ne è constatata la poca lena, la scarsa perizia e il maggior
onere rispetto ai locali.
Qualcosa, almeno nella mentalità, inizia dunque a muoversi I mineralogisti prevedono un futuro migliore e forse competitivo; la qualità non è ancora perfetta e i ferri non sempre omogenei, ma tempo ed esperimenti, a loro dire, faranno il resto e riusciranno a risolvere positivamente il confronto con il prodotto estero.
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