Le Reali Ferriere      

ed Officine di  Mongiana

 

Home Page

Prefazione

Introduzione

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Tavola Misure Regno delle Due Sicilie

Indice Appendice

Real Decreto e Regolamento

Bibliografia

Bibliografia generale

Indice delle abbreviazioni

Indice delle note

Tutte le Immagini

Home Page

 

Capitolo 1  

(4°)

Storia

Le ferriere itineranti

La riorganizzazione della ferriera calabrese è ritenuta compito urgente, non più derogabile.

Durante il regno di Ferdinando IV, alla fine del secolo, le autorità napoletane sono costrette ad affrontare i problemi di riassetto della siderurgia nazionale. Alcune nuove realizzazioni fanno loro sperare di risolvere per sempre la dipendenza dall'estero per le materie prime.

La produzione delle ghise e i sistemi di fusione sono al Sud, verso la fine del settecento, basati ancora sull'antiquato “metodo ca­talano”, che comporta forti sprechi di carbone vegetale in rap­porto al prodotto finito. Nella fase di prima fusione, e ancor più in quella di seconda (affinazione), si consumano quantità enormi di carbone e, all'alto spreco, a volte corrispondono qualità scadenti e non omogenee, specie se caricamento e andamento dei forni non sono eseguiti da maestranze vigili ed esperte.

Malgrado il progressivo depauperamento forestale - depaupe­ramento che in Spagna aveva costretto a caricare i forni con cardi e stoppie perché neppure un alberello riusciva più a crescere e riprodursi - il metodo catalano è mantenuto in vigore con per­vicacia.

La ferriera di solito è dislocata al centro di un territorio ricco di acque (forza motrice), in presenza di folti boschi (combustibile), non lontano dalle miniere (materia prima). La concomitanza dei tre fattori è considerata ovviamente ottimale; accade però che, dato il via al ciclo di produzione, si iniziano a tagliare a tappeto e a carbonizzare tutti i boschi adiacenti e, quando questi risultano completamente sfruttati, se ne reperiscono altri progressivamente più lontani. L'indiscriminata, sistematica, distruzione è favorita dall'assoluta mancanza di leggi di tutela che prevedano cicli an­nuali di taglio. Anche nel Mezzogiorno è in auge quel “pas de fer sans forét” usato dalle contemporanee maestranze francesi per opporsi ai provvedimenti di salvaguardia del patrimonio forestale e per resistere all'introduzione delle non ortodosse pratiche la­vorative inglesi (30).

Favorita da una politica suicida, intorno alla ferriera si applica una tattica da terra bruciata che in ultimo taglia il cordone om­belicale tra forni e territorio. In un primo tempo, all'inizio del ciclo, i ritmi di produzione sono fortemente incrementati; in seguito, continuano in maniera asfittica determinando alla fine la non competitività del prodotto a causa dell'alta incidenza dei costi di trasporto lievitati per l'aumento di distanza dai boschi. Alla maggiore distanza, fa riscontro nella zona la mancanza di strade di accesso alle forniture, intralciate, se non interrotte, dalle sfa­vorevoli condizioni climatiche invernali.

Quando il processo di degrado ambientale tocca l'apice, risulta più economico trasferire la ferriera stessa piuttosto che assog­gettarsi alla lievitazione dei costi e al mantenimento di una mol­titudine di mulattieri-trasportatori, non sempre reperibili, turbolen­ti, mai disposti a sottomettersi a maggiori fatiche e contrari ad allontanarsi troppo dai luoghi di residenza.

A conti fatti, è più economico trasferirla perché la ferriera, non costruita in muratura, è quasi sempre una rudimentale baracca-capannone, ampia quanto basta a contenere forni e forge.

Nell'intento di riavvicinarla ai boschi, la ferriera acquista carattere itinerante all'interno del territorio di sfruttamento. Emblematica in tal senso è la storia della ferriera di Campoli (nello Stato del principe Carafa di Roccella (31), nei pressi delle miniere di Pazzano) che ha già divorato le foreste circostanti: è stata affiancata e poi del tutto sostituita da un nuovo stabilimento costruito lungo il corso del fiume Assi dal quale prende nome. Con la ferriera di Assi s'imprime impulso maggiore alle antiche e limitrofe “Ferriere del Bosco del Demanio di Stilo”, poste a nove miglia a ovest del paese, dalle quali proverranno i primi artefici della Mongiana. Ben poco si conosce sull'antica conformazione, sappiamo invece che in epoche più recenti hanno costituito un articolato sistema di piccole e piccolissime ferriere ad uno o più forni, chiamate tutte Ferriere del Piano della Chiesa. Le fonti ne citano una decina: Fornace Vecchia e Fornace Nuova, Ferriera d'Arcà, dell'Armi, del­la Murata, del Maglietto, di S.Giuseppe o Acciarera, Molinelle Inferiori e Molinelle Superiori. Sono servite da canali artificiali, hanno depositi e magazzini, alcune sono a doppia, altre a semplice presa. Qualcuna è specializzata in produzioni particolari come la Fornace Nuova che costruisce solo tubi di ferro per canali e trombe idroeoliche. Annessi a tutte: abitazioni ammini­strative, quartiere militare, alloggio-operai, stalle, carbonili, depo­siti, segherie ad acqua, ecc.

Brevi cenni storico-amministrativi sulle ferriere del Piano della Chiesa sono contenuti nelle memorie dei primi direttori della Mon­giana. Cinque di esse sono in fitto dal 1739, per quattro anni, a Don Giuseppe Cavallucci. il contratto prevede insolubilità durante gli anni di gestione, fitto stabilito in 7630 ducati l'anno, obbligo di fornire alla corte, consegnandoli alla Dogana di Napoli, 1250 proiettili pieni e vuoti. Scaduto il contratto Cavallucci, sono date in fitto per otto anni, anch'essi “forzosi”, a Don Giuseppe Lam­berti che richiede anche la ferriera di Assi. Fitto aumentato dun­que a 8155 ducati l'anno. Lamberti sottoscrive la clausola di fornire, trasportandoli fino alla Darsena napoletana, 2000 cantaia di cannoni di piccolo calibro ogni anno (32). Ma, privo d'esperienza e di guida, chiude con forte disavanzo di cassa per l'eccessivo scarto di artiglierie difettose.

Il fallimento Lamberti coglie Napoli di sorpresa apportando un diffuso discredito alle maestranze calabresi, alle gestioni private, e al ferro nazionale. Il crack finanziario, la pessima qualità dei cannoni, la presa di coscienza sui problemi della siderurgia, han­no indotto Carlo a chiamare nel regno i tecnici sassoni e un­gheresi. In attesa delle loro introspezioni e delle migliorie che avrebbero apportate, decide di far proseguire a Stilo i lavori in economia. E' posto a capo dell'impresa un amministratore statale che darà conto dei lavori direttamente al ministero delle Finanze. Le cose non migliorano, anzi peggiorano a causa dell'inveterata abitudine di tagliare i boschi a tappeto: ci vorranno ancora molti anni prima di comprendere che è la vera causa del fallimento della siderurgia nazionale. Il primo amministratore viene rimosso dall'incarico.

E' nominato responsabile Giovanni Francesco Conty.

Medesimi problemi sotto Conty che, nauseato di essere a capo di un'impresa fallimentare, e stanco delle privazioni di un'esistenza solitaria condotta tra aspre e selvagge montagne in clima, per lui napoletano, rigidissimo, a più riprese chiede al Ministero di es­sere esonerato dall'incarico.

Aut-aut di Conty al Ministero: o dimissioni, o essere messo in grado di ristrutturare e rendere produttive le ferriere di cui è a capo!

A sostegno della causa allega un piano di sviluppo. Il Ministro respinge le dimissioni e anzi accoglie, ravvisandone la fondatezza, il piano ideato da Conty e avallato da Alessandro Persico, Am­ministratore degli Arredamenti della Calabria Ulteriore Seconda. E costui un diretto superiore dell'amministratore delle ferriere, spe­cie di ispettore-esattore delle industrie regionali che, sottoscri­vendolo, fa proprio il piano preparato da Conty durante le solitarie giornate stilensi. Così, come accade tutt'oggi, il burocrate lega il suo nome al lavoro e alle idee altrui. Fin qui niente di nuovo.

Anche il piano, a ben vedere, non presenta sostanziali novità rispetto a precedenti esperienze trattandosi della solita operazio­ne di trasferimento e riavvicinamento ai boschi. Brillante, al più, potrebbe risultare la scelta del luogo ritenuto da Conty adatto allo scopo. Secondo l'amministratore, le ferriere dovrebbero abban­donare il bosco ormai distrutto di Stilo e traslocare in località Cima, alla confluenza del Ninfo con l'Alaro, immersa in folti bo­schi che vegetano a circa mille metri d'altitudine, a cavallo tra Ionio e Tirreno dove è minore la distanza tra i due mari.

[fig.6]

Napoli – Museo mineralogico, fondato nel 1801.

 

L'utilità della soluzione non sfugge al Ministro il quale intravede i vantaggi di una località baricentrica rispetto ai porti d'imbarco e la celerità di contatti con la capitale che potrà derivare dall'uso del porto tirrenico di Pizzo.

Il Ministro concede il placet al piano-Conty: sarà costruita una nuova ferriera che prenderà il nome del torrente Mongiana che scorre sulla Piana Stagliata-Micone.

Indice capitolo 1

 

 

Prefazione

Introduzione

Cap. 1

Cap. 2

Cap. 3

Cap. 4

Cap. 5

Cap. 6

Tavola Misure Regno delle Due Sicilie

Indice Appendice

Real Decreto e Regolamento

Bibliografia

Bibliografia generale

Indice delle abbreviazioni

Indice delle note

Tutte le Immagini

Home Page