Le Reali Ferriere      

ed Officine di  Mongiana

 

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Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Tavola Misure Regno delle Due Sicilie

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Bibliografia

Bibliografia generale

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Capitolo 3  

(3°)

Ferro - Seconda fusione

Il sistema usato per raffinare la ghisa, dal 1846 al '55, è il “con­tese” a fuochi coperti che ha sostituito una sorta di metodo “bergamasco” a fuochi aperti rozzamente praticato.

Dopo la distruzione delle ferriere dell'Alaro (alluvione di novembre 1855), al posto dei vari forni a riverbero prima sparsi lungo il corso del fiume, si costruisce nella rimodernata Fonderia un grande forno d'affinazione “a manica” (forno a cupola o Cubilot). Con­siste in un timo di muratura refrattaria rivestita all'esterno da un inviluppo di lamiera circolare e placche di ghisa. Nell'interstizio, tra camicia refrattaria e inviluppo metallico, sono inserite scorie isolanti che permettono contrazione e dilatazione dell'inviluppo.

Il caricamento si esegue attraverso la presura in alto: i materiali sono sollevati da una gru fino alla piattaforma di servizio a livello della presura e scaricati nel forno.

La ghisa trasformata in ferro si raccoglie al fondo platea del crogiuolo e si scarica attraverso il foro di colata che durante l'andamento resta chiuso da un tappo d'argilla. Forato il tappo, alla fine del processo il getto di colata è diretto. Il ferro dol­cificato cola negli stampi allineati davanti al forno ed è condotto alle staffe con una canalizzazione refrattaria mobile.

Gli stampi sono di legno rivestito d'argilla di due tipi: una a pasta e sabbia fine che serve per il getto di opere minute, l'altra a pasta grossa per le opere di maggior mole e per i semilavorati. Le prime provengono dal monte S.Angelo distante una trentina di chilo­metri da Mongiana (Circondario di Soriano), le seconde da Santa Maria di Cropani, località a circa tre chilometri dalla ferriera.

La raffinazione comporta un consumo maggiore di carbone ve­getale rispetto alla fase di prima fusione. Quello usato per il ferro comune è di faggio, mentre per il ferro delle lastre delle canne è preferito quello di castagno (o di erica) perché adatto più del­l'altro alla saldatura.

I ferri prodotti sono di diverse qualità che variano secondo le occorrenze. In genere serve a soddisfare gli ordinativi delle Di­rezioni d'Artiglieria ed è gettato per i proiettili, cerchioni, sale, guarnimenti d'affusti e tutti gli altri soliti materiali militari.

L'eccedenza viene gettata in barre oppure trasformata in verghe dai locali laminatoi e maglietti. Le forme ordinarie delle verghe sono piatte, quadrate e ottagonali; le loro dimensioni variano in funzione dell'andamento di mercato e delle richieste, ma le mi­sure standard sono le sottili a sezione quadrata (mm 27X27) e rettangolare (mm 81X14). All'occorrenza, i maglietti posti sopra il villaggio possono produrre sezioni ancora più ridotte.

Al contrario dei lavoranti della Fonderia e Fabbrica d'Armi, che sono salariati, quelli delle officine di raffinazione sono pagati a cottimo; ogni officina ha un suo Capo affinatore che ne è il diretto responsabile e che mantiene i rapporti con la Direzione la quale conteggia esclusivamente con lui.

Il Capo ha la responsabilità della qualità di ferro in barra e per­fezione dei manufatti; comanda, senza altre ingerenze militari l'interno dell'officina nella quale riunisce le squadre i cui com­ponenti sono scelti personalmente da lui previo esame attitu­dinario. Il Capo riceve una percentuale a cantaio prodotto e di­stribuisce le paghe mensili agli affinatori e manovali. Il suo com­pito all'interno dell'organigramma di lavoro dell'officina è di ri­scaldare la ghisa e abballottolare i masselli. La sua giornata lavorativa, alla pari di tutti i lavoranti dell'intero complesso si­derurgico, dura 10 ore. Un traguardo che l'industria metalmec­canica nazionale italiana raggiungerà solo dopo il 1910.

Indice capitolo 3

 

 

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