Le Reali Ferriere      

ed Officine di  Mongiana

 

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Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

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Bibliografia

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Capitolo 3  

(2°)

Ghisa - Prima fusione

Il minerale, superficialmente cernito e senza essere sottoposto a torrefazione, viene trasportato a Ferdinandea o a Mongiana da circa 300 mulattieri residenti a Bivongi e Pazzano. L'operazione di lavaggio dei minerali è stata accantonata da una decina d'anni; la torrefazione non è ritenuta necessaria sia per la notevole mole degli altiforni, sia perché la qualità caricata di solito è già sfranta. La sola qualità compatta è riscaldata in una fornace a riverbero e i minerali roventi sono resi friabili da un getto di acqua fredda (tutta l'operazione si esegue direttamente in fonderia). L'uso di fondenti si è generalizzato già da una decina d'anni (al tempo dei saggi del Niola); nel decennio in questione le analisi chimiche, effettuate sulle marne dal capitano dei Lavori Crescenzo Mon­tagna, provano la bontà di una marna calcarifera locale detta

comunemente “maramosca” la quale si trova in abbondanza in un giacimento a cielo aperto a sei chilometri da Pazzano (2). La messa in fuoco degli altiforni dura una ventina di giorni riscaldando le pareti con carbone vegetale; il caricamento del carbone è mec­canico: il combustibile è sollevato fino alle presure da una gru mobile, stipato in una cassa il cui contenuto equivale a una carica unitaria. I minerali sono caricati a mano e trasportati a spalla fino alle presure dei forni le quali sono rialzate di circa quattro metri rispetto al piano dei magazzini.

Scaldato il forno, s'inizia il processo di fusione a piccole cariche, in seguito si aumentano progressivamente le dosi di minerale, fondente, scorie d'andamento e carbone in proporzione al tipo di ghisa che si vuole ottenere. L'andamento normale del processo si tiene per ghisa grigia più o meno oscura (tenace di fibra, facile alla lavorazione a tornio e trapano e dolce alla lima); la grana varia tra la grossa e la minuta (in media tra la “moscata” di Francia e la nera di Glasgow). La minuta è il tipo più tenace, la grossa è facilmente intaccabile con i normali utensili.

La produzione giornaliera di un singolo altoforno varia dalle 45 alle 65 cantaia e, poiché uno degli altiforni è di riserva, la po­tenzialità complessiva ammonta in genere a 120 cantaia quoti­diane.

La ventilazione dei forni è del tipo a “bucolari”: l'aria è insufflata mediante trombe idroeoliche affiancate da una macchina a stan­tuffi mossi dal vapore. Non si fa uso del preriscaldamento del­l'aria (metodo di Neilson) perché non lo richiede il tipo di com­bustibile adoperato.

Il personale addetto agli altiforni è diviso in squadre; ogni squa­dra è composta da un capo-fonditore, un guarda-forno, due guar­da-fuochi, due aiuti-guarda-fuochi, un fonditore di prima classe e uno di seconda, cinque caricatori e tre pestatori. Quando si lavora a forni accoppiati si aggiungono alla squadra normale due fon­ditori e altri caricatori e pestatori.

La ghisa da spedire a Napoli viene gettata in pani mentre quella per la raffinazione locale si usa gettarla in masse che vengono frantumate poi a colpi di maglio.

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