Le Reali Ferriere      

ed Officine di  Mongiana

 

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Prefazione

Introduzione

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Tavola Misure Regno delle Due Sicilie

Indice Appendice

Real Decreto e Regolamento

Bibliografia

Bibliografia generale

Indice delle abbreviazioni

Indice delle note

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Capitolo 2 

(c)

Acque

Le ferriere di Stilo erano state stroncate dalla mancanza di com­bustibile e, a Mongiana, i tagli boschivi senza criterio avevano messo in crisi anche il nuovo impianto costringendo i militari a maggiori cautele e più attenta vigilanza. Cure non meno serie gli artiglieri dovranno dedicare al secondo elemento naturale che, con la propria presenza, aveva contribuito a far scegliere la lo­calità Cima come zona adatta all'insediamento: l'acqua dei fiumi che scorrono al fondo della valle. Avere boschi a portata di mano era stata una prima condizione indispensabile; la seconda era stata la presenza di acque perenni, possibilmente abbondanti, che potevano dotare l'impianto di forza motrice sufficiente e continua. Le due condizioni erano state rintracciate nella località suddetta che è situata al centro di una vallata di natura granitica, ripida e dirupata. A fondo valle il breve corso del Ninfo incontra le acque dell'Alaro; la confluenza era stata giudicata da Conty e Persico idonea alle esigenze della ferriera da costruire.

In realtà l'acqua costituirà in un primo tempo il tallone d'Achille dell'intera struttura produttiva perché il flusso, proveniente da sor­genti distanti appena due chilometri, si rivelerà inadeguato a muo­vere le ruote con la dovuta forza e continuità, e risulterà inadatto a fare sviluppare dalle trombe idroeliche tutto il volume d'aria necessario ai processi di fusione. Se la natura elargirà a piene mani il materiale per la carbonizzazione, sarà invece avara di acque nei periodi estivi e ciò rappresenterà un insormontabile handicap.

Lo spinoso problema era stato in parte risolto dalle livellazioni dei due fiumi, eseguite sotto la direzione dell'architetto Mario Giof­fredo tra il 1771 e il 1778. In questi otto anni Gioffredo è di stanza nella vicina Alvito per sovrintendere all'apertura e all'esplorazione delle miniere scoperte in quel paese e, dirige anche le livellazioni che servono ad aumentare la velocità di caduta dell'acqua e ad incanalarla alle trombe. Tuttavia, anche con un simile accorgi­mento le campagne annuali dei primi decenni erano durate quat­tro, al massimo cinque mesi, creando notevoli disagi e scompen­si produttivi. Si univa alla scarsezza di flusso un fattore non meno negativo: l'aria sviluppata dalle prime trombe installate, durante i periodi di pioggia intensa, era satura di umidità che attraverso gli ugelli penetrava nei forni, rovinava ghisa e ferro e ritardava tempi di fusione e messa in fuoco dei forni. Al contrario, in estate con la scomparsa dell'inconveniente, la portata dei corsi scendeva a livelli minimi costringendo a sospendere il lavoro per poterlo ri­prendere alla successiva piena (1).

Il sistema “a caduta” e i primi impianti idrici di ventilazione ri­mangono in funzione alla ferriera fino all'arrivo dei militari. Ap­parirà chiaro ai nuovi responsabili che in nessun modo potrà essere aumentato il flusso d'acqua, neanche ricorrendo all'apertura di nuovi canali o a ulteriori livellazioni. Decideranno di tentare l'operazione inversa: diminuiranno il fabbisogno d'acqua con la sostituzione delle vecchie trombe, del resto di mediocre fattura, con altre nuove di concezione migliore e portata superiore. Que­ste daranno un esito più soddisfacente: si otterrà un sensibile aumento di volume d'aria dall'identico flusso d'acqua. Saranno rettificati i processi, accellerati i tempi e finalmente sarà possi­bile calcolare con precisione la durata delle fusioni (2).

Grazie all'immissione nell'Alaro di tutti i piccoli corsi in prece­denza non sfruttati come affluenti, trent'anni dopo, l'apparecchio ordinario per alimentare la Fonderia consiste in trentadue trombe, formate da capaci tubi di ferro, che in due distinte cadute di mt. 11,50 consumano, se attivate contemporaneamente, da 1 a 1,25 metri cubi d'acqua al secondo (3). L'impianto è costato circa mille ducati ma, per la semplicità di funzionamento, la manutenzione è ridotta al minimo, non crea problemi e risulta economicamente insignificante. La campagna fusiva può protrarsi per otto mesi di seguito; durante i quattro mesi di stasi si curano le sostituzioni delle attrezzature logore ma non viene interrotta la raffinazione della ghisa e la confezione di manufatti. Quando la ferriera sarà chiamata a super-lavoro per produrre la ghisa bianca da inviare ai puddler dell'affineria Ischitella (annessa alle Officine di Pietrarsa), la campagna degli altiforni sarà estesa a tutto l'anno e, per sup­plire alle magre dei fiumi, si doteranno gli impianti di una mac­china eolica, con funzioni analoghe agli attuali iniettori, chiamata “il Ventilatore”. Per l'epoca la macchina è una vera rarità: ha gli stantuffi mossi dal vapore prodotto da una caldaia che, per il riscaldamento, sfrutta i gas caldi in uscita dagli altiforni. Spedita da Napoli, sulle prime la macchina delude le aspettative in quanto inadatta allo scopo. Purtroppo ha gli stantuffi verticali ad azione diretta e, con ogni probabilità, è stata ideata per scopi diversi:

non per utilizzare a recupero i gas. L'abilità e l'inventiva di Savino, factotum della ferriera,  suppliscono i difetti della macchina. Il “ventilatore” viene installato nell'ex locale della barena dei can­noni; i gas, raccolti da apposite tramogge ideate dall'ingegnere, sono sfruttati per il riscaldamento di tre bollitori collegati ognuno ad un altoforno. Insieme agli stantuffi devono essere sostituiti i cilindri e il tutto è realizzato nello stabilimento. L'attivazione del nuovo impianto si ottiene dalla combustione di carbone vegetale in un fornello supplementare; la cosa è accolta come una vera conquista perché tale combustibile è generalmente ritenuto inef­ficace al funzionamento di simili macchinari. La potenza comples­siva installata è pari a 50 HP e fornisce un volume d'aria sup­plettivo di 1200 metri cubi l'ora i quali, con la residua forza idrau­lica estiva, permettono la lavorazione lungo tutto l'arco dell'anno (4).

 

I corsi dei due fiumi di Mongiana sono costellati di edifici. Fon­deria, fabbriche, officine e segherie formano un articolato com­plesso distribuito su una lunghezza totale di circa sei chilometri. Sopra il villaggio, a sinistra della strada che scende al paese, è l'Officina del Maglietto il cui interno è suddiviso in due settori con relativi magli e distendini per la produzione delle lastre delle can­ne di fucile; è animata dal solo Ninfo con una caduta di 10 metri. Lungo lo stesso fiume, più a valle, sono i tre edifici della Fabbrica d'Armi; le sue ruote sono messe in movimento da due distinte cadute di 9 e 10 metri l'una. Poco sotto il villaggio, azionata dal­l'acqua riunita del Ninfo e dell'Alaro, la grande Fonderia è servita da due cadute di 11 metri e mezzo. Vicina alla Fonderia, unita ad essa da un ponte, è la Raffineria S.Brunello dove sono installati i fornelli alla Wilkinson. Ancora più a valle, sulla riva destra del­l'Alaro, l'acqua aziona l'Officina del Cubilotto specializzata nel getto e staffaggio dei proiettili; nel suo interno sono i marti­netti per calibrarli. A qualche centinaio di metri, sulla riva sini­stra del fiume, è la Raffineria S.Francesco dove si fabbricano stadere, pesi, misure e più in generale minutaglie e strumenti di precisione; la sua caduta totale è di 23 metri. Un chilometro più giù è la Raffineria S.Teresa che, insieme alle poco distanti S.Carlo e S.Ferdinando, con i forni a sistema contese, è la co­struttrice delle grosse opere da getto e probabilmente in essa vedono la luce le colonne della Fabbrica d'Armi; la caduta è di 10 metri circa e l'acqua vi proviene da canali con prese nell'Alaro. Alla confluenza dell'Alaro con il Vagellaro, buon ultima, la Raf­fineria di Robinson (ex Real Principe) con il laminatoio omonimo.

Alla Ferdinandea sono in funzione per l'alimentazione dell'unico altoforno 8 trombe del tipo mongianese che, nonostante la mag­giore portata invernale, in estate diventano meno efficaci di quelle di Mongiana. L'acqua proviene da tre canali, costruiti al fondo di tre valloni, dai monti S.Nicola, Ruggero e Fulé. La portata estiva è minore perché il canale S.Nicola, il più abbondante dei tre, è costruito su un letto permeabile, risulta sterile e le sue acque in estate sono tutte assorbite dal terreno prima di giungere alla ca­duta. Il volume totale dei tre canali, misurato dopo le precipita­zioni, è di circa 1,50 metri cubi al secondo; la caduta ha un'al­tezza di 16 metri ma, poiché il piede delle trombe è sollevato di circa sei metri, si potrebbe usufruire di una caduta complessiva di 22 metri.

 

Le acque sono assillo continuo, assidua preoccupazione; creano agli addetti, alle attrezzature, agli stessi abitanti difficoltà di ogni genere minacciandone a volte la sopravvivenza; sono croce e in minima parte delizia. Le sorgive favoriscono l'attività invernale ma contraggono l'estiva, concedono la forza motrice e allo stesso tempo la negano. Le sotterranee ostacolano il lavoro in galleria dove provocano seri danni. Le piovane si abbattono a volte in maniera tanto violenta da troncare i ritmi di crescita produttiva. La ferriera in ultima analisi è una strana creatura che vive in simbiosi con le acque. È fisicamente legata ai fiumi, veri cordoni ombelicali stesi sul territorio; in contrasto con le leggi della na­tura cade in letargo in estate, pronta a risvegliarsi alle prime piog­ge. A muso in aria si mette ad attenderle e spera che siano tali da fornire alle bocche dei suoi torni la forza di divorare il pasto di strati alterni di minerali e vegetali; ingoia i suoi bravi sandwich, li digerisce nei ventri caldi, li rumina alle forge, li manipola nelle officine respirando con polmoni di ferro e narici a mantice. L'ha­bitat naturale offre condizioni di vita congeniali alla struttura e allo sviluppo organico del suo corpo. Tutto il suo modo di vita è sostanzialmente previsto e pianificato. Ma nessuna previsione è valida in caso di rottura dell'equilibrio climatico e idrogeologico, né sono prevedibili le conseguenze; queste in più di una occa­sione sono tali da far temere l'arresto dello sviluppo del suo corpo.

 

[fig.59]

Ruota idraulica e particolare di tromba idroeolica di tipo settecentesco.

L'essere ubicata in montagna, con ai fianchi ripide e dilavate pa­reti, rende la ferriera particolarmente incline a subire, in caso di abbondanti precipitazioni, danni irreparabili o riparabili a danno della continuità di produzione. Il ciclo è interrotto dalle alluvioni che a più riprese s'abbattono sulla zona. I danni, quando non sono gravi per gli edifici e le fabbriche, sono avvertiti nelle mi­niere, le più soggette alle precipitazioni perché le acque trovano sempre la via per invaderle e renderle impraticabili. Esasperato dalla natura geologica del Monte Stella, il fenomeno ha andamen­to endemico in quanto anche le acque di leggeri piovaschi rie­scono a filtrare fino alle gallerie rendendo la vita impossibile ai minatori, sempre costretti a lavorio per incanalarle ed evacuarle con la costruzione di un rilevante numero di canalette di scolo. La galleria Carolina, iniziata nel 1798 dai mineralogisti, deve essere abbandonata, dopo avere fornito solo 40.000 cantaia di minerale, per l'impeto di un torrente che, infiltratosi nel sottosuolo e fattosi strada fino alla volta della galleria, sfocia all'interno, allagandola completamente (5). Incidenti di questo genere si verificano per lo più in inverno, ma anche in estate è difficile porvi riparo per l'im­possibilità di addentrarsi nei cunicoli pericolanti dove l'acqua im­putridisce le fortificazioni in legno. I danni patiti dalla Carolina sono i primi in ordine cronologico di una nutrita casistica; chi prima, chi dopo, quasi tutti i tratti di miniera sono inondati. Per far defluire nei tratti di livello inferiore le acque, che invadono quelli sovrastanti in esercizio, si aprono cunicoli di sfogo tra i due livelli. Significativo il caso della galleria S.Nicola che nel 1816, a due anni dall'apertura, è invasa dalle infiltrazioni provocate da un furioso temporale che imperversa su Pazzano; l'inondazione co­stringe a murare la bocca della galleria e a vietarne l'apertura. Di riaprirla, insieme ad altre già abbandonate, se ne riparlerà solo nel 1830 quando il Direttore di Mongiana solleciterà il capitano “alle Miniere” a studiare un piano d'intervento per utilizzare i vecchi bracci, fosse anche per convogliarvi acque stagnanti nei tratti superiori.

[fig.60]

“…le Fornaci e Forge ricevono l’azione da un vento che produce l’acqua che giunge per mezzo di alcuni aquidotti, passa in alcune canalette e precipita dentro delle trombe di ferro acre e di legno, da queste passa in una cassa di piperno, o legno percuotendo un masso di ferro acre, urta l’aria intromessa, che trovando a uscire in un canale laterale, ossia Camino di vento, giunge con molta veemenza alle fornaci e alla forgia e nello stesso tempo sorte l’acqua per sotto. Tre trombe di ferro acre, due di legno alte 50 palmi l’una sono messe per fare agire una fornace e due trombe di ferro acre o di legno per una forgia di dolcificazione in tempo d’inverno: ma in tempo d’està, di due fornaci che vi sono ne può essere in attività una sola, con introdurci il vento di tutte e due, e di tre forgie che vi sono in ogni ferriera solo due possono agire col proporzionarle l’acqua delle altre che in tempo d’està diviene minore…”.

Da Memoria sullo stabilimento di Mongiana. Cap. Settìmo a Sappel Ms. cit.

Trombe idroeoliche (Planche de l’Encyclopédie).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Mongiana la situazione è anch'essa difficile e nessun accorgimento riesce a contrastare le acque di piogge eccezionali perché in queste occasioni il paese diventa un imbuto raccoglitore con unica via di sfogo nella valle dell'Alaro dove, al suo livello minimo e addossate alle ripide pareti, si trova la parte più im­portante degli edifici della ferriera. Piccoli aumenti di livello mettono in preallarme gli addetti alle chiuse i quali hanno l'obbligo di regolare i flussi dei canali, di abbassare le saracinesche e sbarrare i corsi. Tali accorgimenti risultano deboli palliativi se nella valle si raccolgono le piovane e le sorgive. La storia di Mongiana è costellata di disastri, due di portata funesta: nel 1850 il primo e, descritto dalle cronache come un vero uragano “che a memoria d'uomo non si è potuto con altro comparare” (6), nel 1855 il secondo.

[fig.61]

Mongiana: Fabbrica d’Armi : particolare del capitello della colonna del fronte principale.

Da allora è trascorso più di un secolo, ma le cronache si sono dovute occupare spesso di fenomeni naturali, fatalisticamente “imprevedibili”, che non si riesce mai a paragonare con nulla di precedente; la memoria sembra incapace di riesumarli prima di subire la nuova furia degli elementi. La frase del giornalista na­poletano che con stupore impotente riferisce i danni dell'alluvio­ne del 1855, è un motivo conduttore che sarà sentito poi più di una volta. Basta andare indietro di poco per ricordare l'ultima “imparagonabile” alluvione che nella zona ha ancora distrutto quanto a Fabrizia, Mongiana e Nardodipace si era a fatica co­struito sulle rovine della precedente. All'indomani dell'inondazio­ne si è ventilata l'ipotesi di trasferire in blocco alcuni paesi; il progetto è rifluito insieme alle acque e ora per la difesa idrogeo­logica e per evitare un'altra prova dolorosa non restano che i meridionalissimi scongiuri. La Calabria, per la frequenza dei ter­remoti, s'è guadagnata il poco allegro soprannome di “terra bal­lerina”; a volte qualcuno, ignaro di ciò, storce il naso per l'aspetto piatto delle cittadine calabresi dovuto alle “leggi antisismiche” varate già all'epoca dell'istituzione della Cassa Sacra per il ter­remoto del 1783. Ma in Calabria regna anche una grande preca­rietà dovuta all'incuria nel rimediare al dissesto idrogeologico. A torto la regione ha guadagnato la stereotipa immagine di terra arida e assetata; ciò potrebbe essere avvalorato dalla penuria d'acqua che affligge a tutt'oggi molti centri costieri, ma smentito dall'abbondanza delle acque sorgive in quota che se bene uti­lizzate, potrebbero affrancare le popolazioni, dare sostegno all'a­gricoltura e alle attività turistiche.

[fig.62]

Mongiana: Fabbrica d’Armi. Canalizzazione e caduta d’acqua per il movimento dei macchinari mediante ruota idraulica.

A paragone con l'alluvione di cinque anni prima, quella del 1855 fu una vera calamità. Nel 1850 i danni erano stati contenuti al crollo della vecchia Armeria e alla distruzione.di parte delle co­perture della Fonderia. Cinque anni dopo tutto il paese subì se­rissimi danni ad eccezione della Fabbrica d'Armi che con le nuove mura di cinta oppose valida resistenza al Ninfo e limitò i danni a poca cosa. Molto più seri invece alla Fonderia, alle officine lungo l'Alaro e in paese. Crollò parte della Fonderia, le mura prossime al nuovo altoforno S.Ferdinando e quelle parallele al corso del fiu­me. Per questa via l'acqua invase il piano di fabbrica trasportando materiali e lasciando dappertutto una spessa coltre di sabbie. La piena dell'Alaro sfondò le porte dei depositi di carbone e mine­rale che, trascinati dalle acque, s'abbatterono sulle restanti mura rovinandole. Ancora più gravi i danni patiti dalla vecchia Armeria che, già mutila dalla precedente alluvione e declassata a depo­sito, fu inghiottita dalle acque. Furono divelti i selciati di tutte le strade; rovinato da tronchi e macigni trascinati dalla corrente il ponte della Raffineria S.Brunello, crollate le mura della stessa, danneggiati i forni alla Wilkinson, distrutte le ruote e le trombe, dispersa ogni staffa per modelli, intasate le prese e crollate le sponde dei canali. Le più colpite furono le svariate Officine e in particolare la Robinson letteralmente spazzata via con il lamina­toio (in seguito recuperato).

[fig.63]

Canalizzazioni in legno per la fonderia di Stilo, probabilmente la Ferdinandea. Disegno firmato Borelli. 1812 circa (BNN. Sez. Manoscritti e rari).  

Due alluvioni, una più funesta dell'altra, a pochi anni l'una dal­l'altra, fecero comprendere l'assurdità della dislocazione di alcuni dei tanti corpi separati della ferriera. Su proposta del Direttore Pacifici, le officine più importanti e il meglio dei macchinari fu­rono riuniti nella grande Fonderia alla quale Savino diede nuovo volto.

Nonostante i danni, i lutti e le due ricostruzioni, è davvero in­spiegabile come in quegli anni la ferriera abbia dato il meglio di sé raggiungendo i suoi più alti livelli produttivi.

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