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La
conversione a Cristo di un prete
testimonianza di Salvatore Gargiulo
Nota sull'Autore:
Salvatore Gargiulo, nato il 18.2.1928 a Sorrento, si è licenziato in teologia
nella facoltà teologica "S. Luigi" a Posillipo nel 1951 e nello
stesso anno
è stato ordinato prete. E' stato in cura d'anime, ha insegnato lettere nel
seminario arcivescovile di Sorrento, e religione nelle scuole statali.
Ha predicato in molte chiese, e diverse volte nella cattedrale della sua
diocesi.
Dopo il Concilio Vaticano II fu chiamato a far parte della Commissione
diocesana
per l'Arte sacra e per la Liturgia, della quale era uno studioso.
PREMESSA
Poiché, quanto a noi, non possiamo
non parlare delle cose che
abbiam vedute e udite.
Atti 4:20
Mi accingo a raccontare il mio lungo cammino dall'errore al Vangelo della
grazia con una grande gioia ed una profonda gratitudine a Colui che, senza
alcun merito da parte mia, mi ha preso per la mano e ha diretto i passi miei,
mi ha liberato dal giogo della schiavitù e mi ha condotto a sè.
Quando però penso ai ventisei anni trascorsi nella chiesa cattolica, "ho
una grande tristezza e un continuo dolore nel cuor mio" (Rom. 9:2):
rivedo tutti i cari amici d'un tempo, "ciechi guide di ciechi" come
fui anch'io, ancora "perduti in vani ragionamenti... col cuore
ottenebrato, essi che hanno mutato la gloria dell'incorruttibile Iddio in
immagini simili a quelle dell'uomo corruttibile ed adorano e servono la
creatura invece del Creatore..." (Rom. 1:21-25).
Queste righe non vogliono in alcun modo esprimere condanna per loro, vittime
inconsapevoli di un sistema religioso costruito con grande perizia dal
"principe di questo mondo". Esse sono invece un caldo invito ad
investigare le Scritture, come ci sono state date da Dio attraverso i profeti
e gli apostoli, non contaminate cioè dalle interpretazioni e dalle
manipolazioni degli uomini, ed a lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio verso
la grazia liberatrice del Vangelo di Gesù Cristo.
Certe mie espressioni sembrano troppo dure e non consone all'attuale clima
ecumenico, ma sottacere la verità non giova né all'ecumenismo né a chi è
ancora prigioniero dell'errore. Chi si sentisse ferito, mi perdoni e sappia
che ho inteso "contristarlo secondo Iddio".
Nei confronti dei cattolici ogni cristiano evangelico potrebbe infatti far sue
le parole dell'apostolo Paolo: "Il desiderio del mio cuore e la mia
preghiera a Dio per loro è che siano salvati" (Rom. 10:1).
ERO
UN GRANDE PECCATORE
...ma
ora avete ottenuto misericordia.
1 Pietro 2:10
Quando
testimonio che sono stato per più di ventisei anni prete cattolico romano, e
che alla fine mi sono ravveduto ed ho creduto all'Evangelo, mi sento talvolta
controbattere: "Il motivo di questa sua decisione sta nel fatto che lei
è stato un cattivo sacerdote. Se fosse stato un buon sacerdote, avrebbe
mantenuto i suoi impegni fino alla morte: il prete è sacerdote in
eterno!" (vedi nota
1)
Si, è vero, dal punto di vista cattolico sono stato un cattivo sacerdote. Ma
c'è di peggio. Dal punto di vista di Dio sono stato un grande peccatore!
Quale membro d'una casta sacerdotale, pretendevo di essere un intermediario
fra Dio e gli uomini, mentre Gesù ha dato il sacerdozio ad ogni credente (v.
1 Pietro 2:5-9). Insegnavo la devozione a Maria quale via al cielo, mentre Gesù
è l'unica via (Giov. 14:6) e l'unica salvezza (Atti 4:12). Versavo alcune
gocce d'acqua sulla testa d'un bambino e presumevo di farne un figlio di Dio
per tutta la vita, mentre la Scrittura afferma che si diventa tali solo per il
ravvedimento e la fede in Gesù Cristo (Giov. 1:12). Insegnavo a recitare il
rosario ma non a leggere e ad ascoltare la Parola di Dio. Mi facevo chiamare
padre (Mat. 23:9) ma ai figli che chiedevano pane, io davo pietre...
Dal punto di vista umano ed ecclesiastico avrei potuto sentirmi soddisfatto
del mio stato. Ma cosa ero davanti a Dio? Nient'altro che un sepolcro
imbiancato. In fondo al mio cuore sentivo un vuoto, una perenne
insoddisfazione. Avvertivo la mancanza di qualcosa e ne davo la colpa alle
mancanze umane della mia organizzazione religiosa, pur essendo convinto che
essa fosse la vera chiesa, l'"unica depositarla della salvezza". Non
mi accorgevo che ubbidendo agli uomini anziché a Dio, alle tradizioni umane
anziché alla Parola, io m'ero collocato sotto la condanna divina e perciò
non avevo pace. A volte durante la notte mi svegliavo di soprassalto,
vedendomi già condannato all'inferno.
Ma benedetto sia il Signore, l'Iddio d'ogni consolazione, che mi ha liberato,
facendomi scoprire quella verità che Egli ha rivelata con tanta chiarezza e
che io non avevo mai avuta sotto gli occhi, né durante i cinque anni di studi
teologici né dopo:
"Poiché è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede; e
ciò non vien da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinchè
nessuno si vanti..." (Ef. 2:8-9).
Avevo posto il fondamento della mia fede su un sistema religioso creato dagli
uomini, ma non avrei potuto aver pace se non in Cristo Gesù, pietra angolare
e vivente (Ef. 2:19-20; 1 Pietro 2:4-10).
Note: (1) Chi conosce la Sacra Scrittura sa che queste parole profetiche
del Salmo 110 si riferiscono al Cristo (v. Ebr. 4:6-10). Ma la chiesa
cattolica romana, travisandone il senso, le applica ai suoi sacerdoti.
Prendete
anche l'elmo della salvezza e la
spada dello Spirito, che è la Parola di Dio.
Ef. 6:17
Ero
prete da pochi mesi. Dovendo recarmi ogni mattina a dir messa nell'istituto S.
Anna delle suore d'Ivrea, a Sorrento, a tre chilometri circa da casa mia, e
non essendoci un servizio di autobus, m'ero comprato una bicicletta,
naturalmente da donna perché più confacente alla tonaca che indossavo. La
cosa giunse alle orecchie del vicario generale della diocesi, monsignor De
Martino. Costui una mattina andò ad appostarsi in un angolo della piazza
Tasso, all'imboccatura della strada De Maio per dove, secondo le informazioni
ricevute, io avrei dovuto passare. Appena mi vide sbucare all'altro lato della
strada, andò a piazzarsi in mezzo alla carreggiata, a braccia distese e,
prima che gli fossi vicino, cominciò a gridare:
- Fermati! Chi ti ha dato il permesso di andare in bicicletta e "scaruso"!
(cioè senza cappello)
- Ma altrove tutti i preti vanno in bicicletta, e perfino le monache, mi
azzardai a dire.
- Non è vero! Il sacerdote non va in bicicletta e porta sempre il cappello in
testa!
Era così indignato da non sentire gli squilli di clacson delle auto nel
frattempo sopraggiunte alle sue spalle ed alle quali sbarrava il passaggio.
Rimontai in fretta sulla bicicletta e presi la fuga.
Al di là del suo grottesco, quest'episodio mi ribadiva dei principi coi quali
mi sarei spesso scontrato negli anni trascorsi nell'organizzazione religiosa
romana, e che avrebbero dovuto farmi capire già allora di non trovarmi in una
chiesa cristiana.
Innanzi tutto il principio della "tradizione", che spaziava da
queste bazzecole fino alle più grandi eresie, presentate come dogmi di fede.
Era vero, nella diocesi di Sorrento nessun prete era mai andato in bicicletta
e tutti finora avevano messo la propria testa sotto il nero cappellone, io
avevo violata la tradizione. Nella mia vita di prete avrei sempre incontrata
la tradizione, ed io stesso l'avrei difesa - sia pure in cose più serie -
quale "fonte di rivelazione" alla pari con la S. Scrittura. Dovendo
giustificare tante cose sulle quali tace la Parola di Dio o che sono
addirittura in contrasto con essa, sarei ricorso anch'io alle parole magiche:
"la sacrosanta tradizione della chiesa!"
Qualche tempo dopo monsignor De Martino, visto che persistevo nell'andare in
giro "scaruso", mi disse:
- Io capisco che il cappello ti dà fastidio quando fa caldo. Lo puoi allora
portare in mano, così la gente vede che ce l'hai...
Da un lato la gerarchia, dall'altro lato la "gente", i due poli
dell'ipocrisia ecclesiastica. Sarebbero dovuti trascorrere diversi lustri
perché io imparassi che il servitore di Dio deve mettere sulla testa l'elmo
della salvezza ed avere sempre a portata di mano la spada dello Spirito, la
parola del suo Signore, sulla quale soltanto ha da regolare la propria vita.
Ma il Signore lo consideravamo lontano da noi, rinchiuso in chiesa come
"divino prigioniero del tabernacolo", o come un eterno bambino nelle
braccia della madre. In questa faccenda, come in tantissime altre, non
pensavamo che Egli pure avesse qualcosa da dirci. Al posto di Lui c'era la
gerarchia, forte della sua autorità "ricevuta da Dio", e c'era la
tradizione.
Da parte mia, quantunque fossi l'ultimo valvassino di questo colossale sistema
feudale, io pure avrei messo in opera la mia arroganza, perfino nei confronti
della Parola di Dio... sprovvista di "approvazione ecclesiastica".
...
distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole.
2 Tim. 4:4
Nel
1954 divenni parroco di Trasaella, una frazione del comune di S. Agnello. Mia
preoccupazione fu quella di far osservare tutte le "leggi e le
prescrizioni della chiesa". Mi piaceva che i riti sacri si svolgessero
con ordine e decoro, ma non mi preoccupavo di sapere se quelli che vi
partecipavano fossero "nati di nuovo", accontentandomi di una
formale religiosità.
Un giorno un ragazzo mi disse che la sua famiglia possedeva una Bibbia
"protestante". Ora il Codice di Diritto Canonico (libro che nel
cattolicesimo ha più autorità della Bibbia stessa) prescrive chiaramente
come comportarsi in un caso del genere. Ricordavo ancora che quando ero
bambino avevo sentito il mio parroco parlare di una Bibbia buona e di una
Bibbia che sarebbe stata falsificata dai protestanti. Il buon uomo spiegava
che se ci fosse capitata per le mani una Bibbia, bisognava assicurarsi che
essa nelle prime pagine recasse l'"imprimatur", cioè l'approvazione
dell'autorità ecclesiastica. Mancando questa, il libro si sarebbe dovuto
subito bruciare. Fu quanto fece quella famiglia, ubbidendomi. Né mi
preoccupai di sostituire la Bibbia "cattiva" con una
"buona" per farla leggere.
A quel tempo nella chiesa romana si parlava molto delle rivelazioni fatte
dalla madonna a Fatima, in aggiunta a quelle di Lourdes. Su di esse si basava
anche la mia predicazione, convinto com'ero che il mondo si sarebbe salvato ed
avrebbe conosciuto un'era di pace quando fosse stato consacrato al "cuore
immacolato di Maria", come era stato promesso nelle apparizioni di
Fatima... (v. Gal. 1:8 e 2 Cor. 11:14). Per la salvezza del mondo io
raccomandavo altresì la recita del "santo rosario". Negli inni
mariani, gli unici quasi che si cantavano nelle nostre chiese, si affermava:
Andrò
a vederla un dì, in cielo patria mia,
Andrò a veder Maria, mia gioia e mio amor...
O
bella mia speranza, dolce amor mio Maria,
Tu sei la vita mia, la pace mia sei tu!
Quando
penso alla mia sorte, che son figlio di Maria,
Ogni affanno, o madre mia, s'allontana allor da me.
E
tanti altri, tutti nello stesso stile. Se Maria aveva preso il posto di Dio,
fino a farlo scomparire, quale importanza poteva avere la Parola di Lui?
A volte i fratelli evangelici oggi mi domandano: "Ma com'è possibile che
i preti sostengano tali errori; non è molto chiara la Bibbia? Come la
leggono?" E' difficile comprendere la cecità spirituale del clero
cattolico, se non si tiene presente quella realtà rappresentata dai
"dominatori di questo mondo di tenebre" (Ef. 6:12).
Hal Lindsey ha scritto: "Satana adora la religione. E' il suo asso di
briscola per renderci ciechi alla verità. Egli è il dio di tutti quelli che
non seguono Gesù Cristo. Tutti quelli che adorano in qualunque forma
religiosa che non tiene primariamente conto di Cristo (o che ne tiene conto
solo in apparenza, come fa il cattolicesimo romano) in definitiva si
ingannano".
Potrei riferire moltissimi esempi a dimostrazione del fatto che per
l'istituzione cattolica romana le espressioni così spesso ripetute nella sua
liturgia a proposito della Bibbia: "parola di Dio", "parola del
Signore", rimangono pura teoria.
In realtà innumerevoli dottrine di origine pagana o filosofica si sono
aggiunte e poi sostituite alla sua fede biblica primitiva, dando vita ad un
sincretismo filosofico-religioso, la cui espressione più caratteristica si
trova nella "Summa Theologica" di Tommaso d'Aquino. Il tomismo è
appunto la regola occulta della dottrina della chiesa romana ed è su di esso
che si basa la formazione teologica dei preti.
Non ci sorprende quindi se ai cattolici, fin dai primi anni, s'insegna che
Iddio è un padre severo, ma che vicino a Lui c'è una tenera madre che ci
difende e ci protegge se ci affidiamo a lei, che i santi sono i nostri
avvocati e protettori e che abbiamo bisogno della loro raccomandazione per
ricevere le grazie, ecc. Di fronte ad un tale castello di ragionamenti umani e
di menzogne non si può fare a meno di esclamare: "Un nemico ha fatto
questo" (Mat. 13:28)!
Durante i miei cinque anni di formazione nella Facoltà teologica di Posillipo
quasi mai ebbi bisogno di aprire la Bibbia. Al suo posto, per provare le
famose cento tesi per la licenza in teologia, si doveva avere continuamente
fra le mani l'"Enchiridion Symbolorum", più conosciuto come
"il Denzinger", dal nome del suo compilatore, raccolta di documenti
del "magistero infallibile della chiesa cattolica". Non imparammo a
memoria una sola citazione biblica, ma in compenso centinaia di numeri del
Denzinger!
Alla fine del terzo anno di teologia, con l'ordinazione al suddiaconato, ci fu
messo fra le mani il breviario, una specie di "minestrone" composto
di salmi e di qualche altra lettura biblica, brani di padri e dottori della
chiesa, vite di santi, il tutto in latino, da recitare ogni giorno per lo
spazio di un'ora e mezza circa, sotto pena di "peccato mortale".
Quest'obbligo, che si assolveva in tutta fretta, spesso al termine della
giornata, toglieva ogni gusto alla vera preghiera, e soprattutto il desiderio
di abbeverarsi alla pura fonte della Parola di Dio.
Forse oggi si legge di più la Bibbia nelle scuole teologiche e nelle varie
associazioni cattoliche. Ma, ahimè!, il più delle volte si tratta di una
lettura in chiave liberale, razionalistica o politica: Bultmann s'è seduto in
cattedra a fianco di Tommaso d'Aquino, ed anche questo è ecumenismo! Negli
anni '60 la teoria della "demitizzazione" aveva contaminato anche
me... Ma anche da quest'oltraggio alla purezza della sua Parola il Signore mi
avrebbe liberato.
LA
PAZIENZA DI DIO
...
e ritenete che la pazienza del Signor nostro è per la vostra salvezza.
2 Pietro 3:15
Il
Signore misericordioso ha usato una grande pazienza con me, se ha dovuto
impiegare tanti anni per convincermi. Pensando a Rom. 8:28, mi accorgo che
tante cose hanno cooperato al mio bene, e di esse s'è servito Iddio per
guidarmi verso la luce.
Dopo un primo decennio di ottusa cecità, cominciai a provare una certa
simpatia per gli evangelici. Ero convinto che essi, uscendo dalla chiesa
cattolica romana, si erano allontanati dalla "pienezza della verità",
ma ammiravo la loro coerenza (per sentito dire, giacché non ne avevo mai
incontrati) ed il loro amore per la S. Scrittura. Li consideravo
"fratelli separati" ed ogni anno organizzavo la settimana di
preghiere "pro unione", per chiedere a Dio il loro ritorno, cioè il
ricostituirsi di un unico gregge sotto un solo pastore (il papa!). Era la
concezione romana dell'ecumenismo. Divenni anche uno zelante propagatore di
una "Lega di preghiere per l'unione dei cristiani".
Ma a volte il Signore concede proprio il rovescio di quanto Gli chiediamo. Io
pregavo che le "sette" protestanti ritornassero pentite alla chiesa
del "vicario di Cristo", ed in risposta il Signore ne avrebbe fatto
uscire anche me, facendomi trovare nei cristiani evangelici i veri fratelli in
Cristo. Alleluia!
Intanto s'era svolto il Concilio Vaticano II. Per anni avevo sperato che
questo evento portasse un rinnovamento evangelico nell'organizzazione romana,
della quale ora vedevo tutte le carenze, anche se mi ostinavo a credere che
essa fosse l'unica vera chiesa. Ma dopo tante parole e cerimonie teatrali,
tutto s'era risolto in qualche cambiamento superficiale e senza conseguenze
per la vita spirituale. La stessa lettura della Scrittura, fatta ora nella
lingua del popolo, continuava a scendere sull'indifferenza e sull'apatia d'una
massa inconvertita, presente nei luoghi di culto "perché s'è fatto
sempre così", per convenienza sociale o per "soddisfare al precetto
festivo". Del resto, da parte di una gerarchia non voluta da Dio,
preoccupata solo di conservare i propri privilegi in base ad una presunta
successione apostolica, non poteva venire alcun sostanziale rinnovamento.
(vedi nota 2)
Il mio interesse per le chiese evangeliche cresceva, alimentato anche qualche
trasmissione radio-televisiva, che seguivo con attenzione, ma soprattutto
cominciavo a scoprire la Sacra Scrittura, anche se non la leggevo regolarmente
e se subivo l'influsso delle nuove teologie.
Nell'agosto del 1975 fui a Firenze per la Settimana Liturgica Nazionale. Una
mattina mi trovai a passare davanti alla libreria evangelica di via Ricasoli.
Vi entrai, e dopo un poco i miei occhi caddero su un libro: "Il
Cattolicesimo Romano alla Luce delle Scritture" (U.C.E.B. Roma), che
acquistai.
Nella scuola media di Sorrento, dove insegnavo religione, c'era un professore
di lettere, Edoardo Salmeri, che pure cercava la verità ed era deluso del
cattolicesimo. Gli prestai quel libro, che lesse tutto d'un fiato; dopo un
poco egli si convertiva al Signore. Per me ci vollero ancora due anni. La luce
penetrava a poco a poco nella mia mente, però le eresie cattoliche cadevano
l'una dopo l'altra sotto i colpi possenti della "spada dello Spirito, che
è la Parola di Dio" (Ef. 6:17). Ormai ero certo che solo le chiese
fedeli alla Scrittura potessero chiamarsi cristiane.
Nell'organizzazione romana io avevo "adorato e servito la creatura invece
del Creatore". A parte la mariolatria ed il culto dei santi e delle
"anime del purgatorio", quante volte avevo predicato sulla necessità
dell'obbedienza al papa ed alle sue parole! Mi ritenevo privilegiato perché
da seminarista avevo potuto inginocchiarmi davanti al "dolce Cristo in
terra" e baciargli il "sacro anello". Erano gli anni in cui nel
seminario e nei raduni dell'Azione Cattolica ci facevano cantare:
Bianco
padre, che da Roma
Ci sei meta, luce e guida,
In ciascun di noi confida,
Su noi tutti puoi contar.
Siamo arditi dalla fede,
Siamo araldi della croce.
Al tuo cenno, alla tua voce,
Un esercito ha l'altar.
Sempre
col papa,
fino alla morte,
Che bella sorte,
che bella sorte...
Allora
conoscevo così poco Gesù da non avvertire lo stridente contrasto fra Lui,
povero, perseguitato ed ucciso, ed il suo presunto vicario, capo di uno stato
minuscolo ma finanziariamente e politicamente potente, onorato e protetto dai
grandi di questo mondo.
Il mezzo televisivo contribuiva a rendere popolare la figura del "santo
padre" (v. Mat 23:9). Anch'io restavo per ore davanti al televisore a
guardare le folle "oceaniche" che venivano da tutto il mondo per
guardarlo affacciarsi ad una finestra del suo palazzo, i riti pagani che si
svolgevano nella basilica di S. Pietro ed i vari "pellegrinaggi di
pace" compiuti da quell'uomo. Oh!, se non fosse intervenuto il Signore,
ora mi troverei anch'io fra tutti quelli che vengono manipolati e preparati ad
"adorare un'immagine" per bere poi del vino dell'ira di Dio (Ap.
14:9-11)!
Era la notte di Natale del 1976. M'ero seduto davanti al video per guardare la
messa natalizia trasmessa dalla basilica di S. Pietro. Il rito ebbe inizio con
l'antifona "Puer natus est nobis..", cantata dal coro della cappella
sistina. Erano le bellissime parole di Isaia 9:5: "Un fanciullo ci è
nato, un figliuolo ci è stato dato, e l'impero riposerà sulle sue spalle;
sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe
della pace..."
Contemporaneamente nella navata centrale avanzava lentamente la sedia
gestatoria sulla quale sedeva, in ricchi paludamenti, sua santità Paolo VI.
Il coro cantava una profezia che si riferiva a Cristo, ma i "fedeli"
applaudivano ed acclamavano non Lui, bensì un uomo. Quell'uomo sarebbe stato
il polo di attrazione durante tutto il "santo sacrificio". Ancora
una volta si adorava e serviva la creatura invece del Creatore.
Ma questa volta lo Spirito di Dio mi faceva percepire tutto l'orrore di quella
idolatria e me ne faceva dissociare. La gente, presa da un isterico fanatismo,
continuava a battere le mani; povere monache, gente di ogni razza ed età, lo
guardavano estasiati; i più vicini alle transenne tendevano le braccia nel
tentativo di toccarlo.
Mi alzai indignato e me ne andai a letto, pensando con riconoscenza al mio
Salvatore. Alcuni mesi dopo il Padre celeste, il vero Santo Padre, mi avrebbe
finalmente tirato fuori dalle tenebre di quel paganesimo.
Note: (2) Pastor, autore della monumentale "Storia dei Papi",
ha chiamato la successione papale dall'apostolo Pietro "il più grande
falso della storia".
VINO
NUOVO IN OTRI NUOVI!
Uscite
da essa, o popolo mio, affinchè non siate partecipi dei suoi peccati e non
abbiate parte alle sue piaghe.
Ap. 18:4
Ormai
mi consideravo evangelico, ma non sapevo come e quando sarei uscito da quella
"religione". La mia predicazione era diventata biblica, e pensavo di
poter aiutare il cattolicesimo dal di dentro. Ma questa è una delle ultime
astuzie del nemico per frenare chi ha scoperto l'Evangelo: tranquillizzarne la
coscienza, suggerendogli di mettere il vino nuovo negli otri vecchi. Come
poteva essere biblica la mia predica, quando parlavo circondato da idoli
d'ogni forma e dimensione? La volontà di Dio è chiara: "Non vi mettete
con gl'infedeli sotto un giogo che non è per voi; perché qual comunanza v'è
fra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione fra la luce e le tenebre?...
E quale accordo fra il tempio di Dio e gl'idoli?... Perciò uscite di mezzo a
loro e separatevene... ed io vi accoglierò" (2 Cor. 6:14-18).
Il nostro Dio non fa rattoppi su un vestito vecchio. Egli fa ogni cosa nuova (Ap.
21:5), ed a partire da Gen. 12:1 fino ad Ap. 18:4 il comando dell'Eterno è
sempre quello di andar via, di uscire. Io m'indugiavo, come Lot, ma il Padre
aveva già da anni preparato il piano per vincere i miei ultimi indugi.
Scrissi una lettera al vescovo per informarlo della mia conversione, Lo pregai
di cancellare il mio nome dall'elenco dei suoi "sacerdoti",
"avendo io deciso di ubbidire allo Spirito Santo che mi chiamava a
servire Iddio in ispirito e verità nella chiesa evangelica".
Ebbi in risposta un biglietto, nel quale l'uomo si diceva pronto a volermi
aiutare (!), e m'invitava a recarmi da lui (ma non dovrebbe essere il pastore
ad andare in cerca della pecora smarrita?). Mi ricordava anche che l'8 luglio
1951 io avevo promesso, secondo la formula del rito, al vescovo che mi
ordinava prete ed ai suoi successori "riverenza ed ubbidienza".
Ancora una volta l'uomo pretendeva di sostituirsi a Dio. Non andai da lui; era
evidente che il nostro sarebbe stato un dialogo fra sordi. Questo accadeva nel
mese di settembre del 1977.
Il 1° dicembre dello stesso anno io e Ruth, una ragazza evangelica svizzera,
ci sposavamo civilmente nella casa comunale di Bacoli (Napoli) ed il 10 dello
stesso mese con rito religioso nella suggestiva antica chiesa protestante di
St. Légier, sul lago Lemano (Svizzera).
Il 6 dicembre dell'anno successivo il Signore ci donava il nostro primogenito,
Ismaele (= Iddio ascolta).
EPILOGO
...
la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore.
Osea 3:14
Dopo
che l'Iddio vivente era intervenuto palesemente nella mia vita (anche con altri
segni che sarebbe lungo narrare), seguì il tempo del deserto e della prova. Ero
diventato "un estraneo ai miei fratelli, e un forestiero ai figliuoli di
mia madre" (Sal. 69:8). Il Signore m'aveva fatto uscire fuori dal campo e
m'invitava ad andare da Lui, portando il suo vituperio (Ebr. 13:13).
Quale compito avrei svolto nella sua vigna? Il mio ardente desiderio era quello
di lavorare esclusivamente per Lui e per il suo Evangelo, che ora finalmente
avrei potuto annunciare in tutta la sua purezza e integrità. Ma, guardandomi
intorno, non vedevo nessuno che fosse disposto ad accompagnarmi ed a guidarmi
nei primi passi, tranne la compagna che Dio m'aveva data.
Ma anche questo era nel piano di Dio, e perciò Gli rendo grazie. C'era il
pericolo infatti che io, abituato com'ero stato per tanti anni a dipendere dagli
uomini, dai "superiori", m'aspettassi anche adesso una soluzione da
parte degli uomini. Il Padre voleva invece che io imparassi a dipendere in tutto
e per tutto da Lui, a rispettare i suoi tempi, ad accordarGli piena fiducia, ed
a "guardare a Gesù, autore e compitore della nostra fede" (Ebr.
12:2). Egli voleva anche mettere alla prova il nostro proposito, suggerito da
Ruth già prima che ci sposassimo, di vivere per fede. Per ogni bisogno
materiale Egli fu fedele ed intervenne al momento giusto. Questi due anni di
deserto furono per me un periodo benedetto di tirocinio presso il grande
Maestro.
Nel settembre 1979 partimmo per la Svizzera, dove avremmo attesa la nascita
della nostra secondogenita, Sefora. Anche questa volta avevamo sofferta una
grande delusione da parte degli uomini. Ma Iddio si servì di quella sosta
forzata in Svizzera per la nascita della bambina, che chiaramente Lui aveva
voluto darci, per parlare ancora al mio cuore e farmi capire la sua volontà:
che io tornassi nella mia terra, per testimoniare la sua grazia dove avevo
seminato l'errore.
Dalla Svizzera ripresi i contatti col fratello Mosè Baldari. Per la seconda
volta il Signore mi guidava verso questa missione, che Egli m'aveva già fatta
conoscere nel giugno del '79. Dalla radio avevo saputo allora che a Vico Equense,
nella penisola sorrentina, si sarebbe svolto un convegno evangelico. Mi ci ero
recato nel giorno dell'inaugurazione, ed ero stato subito circondato
dall'amabilità e dalla simpatia di fratelli di diverse nazionalità. Mi ero
recato lì solo per ascoltare dei messaggi cristiani ed essere un po' tra
fratelli di fede, ed invece avevo ricevuto l'invito a lavorare per il Signore
col sostegno e l'appoggio di questa missione. Ma in quel tempo avevo già una
promessa di lavoro da parte di un editore del Nord, e perciò non avevo dato una
risposta affermativa. Più tardi però Iddio mi faceva trovare chiusa la porta
di quella casa editrice e quindi m'indicava chiaramente dove mi voleva.
In occasione della Conferenza Missionaria Europea di quel giugno del '79 io
avevo potuto realizzare ciò che da tempo desideravo: il battesimo. Fui
battezzato la mattina del 29 giugno, nel mare che bagna la mia terra. Fu un
evento che non dimenticherò mai e che anche ora mi colma di gioia. Tanti miei
ex colleghi avevano già lasciato il "sacerdozio", conservando però
gli errori del cattolicesimo romano. Io ero il primo, nella mia penisola, a
testimoniare che per grazia divina m'ero convertito all'Iddio vivente.
Ogni giorno che passa sono sempre più felice per la mia scelta, anzi per essere
stato scelto dal nostro grande Iddio e Salvatore Cristo Gesù, e per essere
stato così meravigliosamente guidato da Lui.
Il mio unico desiderio ora è che la sua Parola si spanda e sia glorificata (2
Tess. 3:11), "affinché in ogni cosa sia glorificato Iddio per mezzo di Gesù
Cristo, al quale appartengono la gloria e l'impero nei secoli dei secoli.
Amen." (1 Pietro, 4:11).
(Testimonianza tratta dall'opuscolo della Missione Italiana Per L'Evangelo -
C.P. 1523 - Firenze)
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