1. L'importanza della Risurrezione

I Corinzi, come gli altri Greci, erano persone dalla mente sveglia e vivace, amanti delle speculazioni filosofiche. Che alcuni dei membri della Chiesa di Corinto fossero partecipi di tale spirito, si potrà rilevare dalla lettura dei primi due capitoli dell'epistola, nei quali Paolo asserisce l'incommensurabile superiorità della rivelazione divina sulla speculazione umana. Con accortezza ed acume l'apostolo previde che, sotto l'influenza dello spirito greco, l'Evangelo sarebbe potuto evaporare in un bellissimo, ma impotente sistema filosofico. D'altronde, già fin da allora affiorava questa tendenza: alcuni membri della Chiesa subivano l'influenza di una vecchia dottrina greca sull'immortalità, la quale insegnava che alla morte il corpo perisce per sempre, mentre l'anima continua a vivere. Infatti, sosteneva tale dottrina, è bene che il corpo perisca, perché è un ostacolo ed un impedimento all'anima. Nell'assemblea di Corinto si insegnava che, mentre l'anima e lo spirito vivono dopo la morte, il corpo se ne va per sempre e non conoscerà nessuna risurrezione; l'unica risurrezione sarà quella spirituale dell'anima dalla sua morte nei falli e nei peccati (vedi Efesini 2:1; cfr. II Timoteo 2:17,18). L'apostolo Paolo rifiuta questo insegnamento: «Or se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come mai alcuni tra di voi dicono che non v'è risurrezione de' morti?» (I Corinzi 15:12). Prendendo lo spunto da questo errore, Paolo espone la vera dottrina e scrive quel grande capitolo sulla risurrezione che è I Corinzi 15.

Come base del suo argomentare Paolo assume la dottrina biblica dell'uomo, perché essa, a differenza della dottrina pagana, asserisce che il corpo può essere santificato (I Corinzi 6:13-20), redento ed incluso nella salvezza dell'uomo. Nel principio Iddio creò l'uomo spirito e corpo; quando Dio soffiò nel corpo inerme di Adamo, questi divenne «un'anima vivente». L'uomo fu creato immortale nel senso che non sarebbe stato necessario che morisse, ma mortale nel senso che avrebbe potuto morire qualora avesse disubbidito a Dio. Se l'uomo fosse stato fedele avrebbe potuto conseguire sulla terra tutte le benedizioni da Dio previste per lui e poi essere traslato, perché la traslazione sembra essere il modo perfetto con il quale Dio prende gli esseri umani dalla terra. Ma l'uomo peccò, perse il diritto all'albero della vita e, come risultato, la morte entrò nel mondo. Il processo culminò nella separazione dello spirito e del corpo e la morte fisica fu l'espressione esteriore di quella morte spirituale che è la conseguenza del peccato.

Poiché l'uomo è anima, spirito e corpo, la redenzione deve includere la vivificazione di questi elementi; di qui la necessità della risurrezione. Mentre l'uomo può essere giustificato davanti a Dio e vivere spiritualmente (Efesini 2:1), il suo corpo muore ugualmente per effetto deità di Adamo; ma, poiché il corpo è una parte integrante della sua personalità, la salvezza e l'immortalità non sono complete finché il corpo non è risuscitato e glorificato. Questo è l'insegnamento del Nuovo Testamento (vedi Romani 13:11; I Corinzi 15:53,54; Filippesi 3:20,21).

L'insegnamento di Paolo in I Corinzi 15:13-19 è il seguente: insegnare che non vi è risurrezione per il corpo, significa infliggere un colpo alla realtà della salvezza e alla speranza dell'immortalità. Così l'apostolo argomenta: se non vi è risurrezione per il corpo, Cristo, che prese un corpo umano, non è risuscitato dai morti. Se Cristo non è risuscitato dai morti, la predicazione dell'Evangelo non consiste che in parole vuote o, peggio ancora, false e fuorvianti; e se la predicazione è vana, vana è anche la speranza e la fede di coloro che l'accettano. Se Cristo non è realmente risuscitato dai morti, non vi è salvezza dal peccato; perché, come possiamo sapere che la Sua morte è stata una morte espiatrice, una morte diversa da quella degli uomini, se non è risuscitato dai morti? E se il corpo del Maestro non è risuscitato, quale speranza vi è per coloro che sperano in Lui? Se tutto questo fosse vero, il sacrificio, la rinuncia e le sofferenze per amor di Cristo sono state vane (I Corinzi 15:19,30-32).