3. Un paragone La salvezza è condizionata o incondizionata? Una volta salvato, l'individuo è salvato per sempre? La risposta può dipendere dal modo nel quale possiamo rispondere alle seguenti domande-chiave: Da chi dipende la salvezza? La grazia è irresistibile? 1. In ultima analisi, la salvezza da chi dipende, da Dio o dall'uomo? Certamente deve dipendere da Dio, perché chi potrebbe essere salvato se la salvezza dipendesse dalla forza dell'individuo? Possiamo essere sicuri di questo: Iddio ci porterà avanti, per quanto deboli e fallaci possiamo essere, purché onestamente desideriamo fare la Sua volontà. La Sua grazia è sempre presente per mettere in guardia, frenare, incoraggiare e sostenere. Non vi è però un aspetto secondo il quale la salvezza dipende dall'uomo? Le Scritture insegnano chiaramente che l'uomo ha la potestà di scegliere liberamente tra la vita e la morte; Dio non violerà mai questa potestà. 2. Si può resistere alla grazia di Dio? Uno dei principi fondamentali del calvinismo è che la grazia di Dio è irresistibile. Quando Dio decreta la salvezza di una persona, lo Spirito l'attira ed essa non può resistere a quell'attrazione. Pertanto, un vero figliuolo di Dio persevererà certamente fino alla fine e sarà salvato; se cadrà in peccato, Dio lo castigherà e contenderà con lui, ma non permetterà mai che scada dalla grazia. Figurativamente parlando, l'uomo potrà cadere sulla nave, ma non potrà cadere in mare. Il Nuovo Testamento insegna che si può anche resistere alla grazia divina, e resistervi per essere perduti eternamente (Giovanni 6:40; Ebrei 6:4-6; Ebrei 10:26-30; II Pietro 2:21; Ebrei 2:3; II Pietro 1:10); ma per chi la accetta, la perseveranza in essa dipende dal fatto che si rimanga o no in contatto con Dio. Nota particolarmente Ebrei 6:4-6 e Ebrei 10:26-29: queste parole sono indirizzate a dei cristiani (le lettere di Paolo non erano mai indirizzate a persone non rigenerate), coloro ai quali la lettera è indirizzata vengono descritti come persone che una volta erano state illuminate, avevano gustato il dono divino, erano state fatte partecipi dello Spirito Santo, avevano gustato la buona parola di Dio e le potenze del secolo a venire. Queste parole si riferiscono, senza dubbio, a delle persone rigenerate. I destinatari della lettera erano degli ebrei cristiani che, scoraggiati e perseguitati (Ebrei 10:32-39), erano tentati di ritornare al giudaismo. Prima di essere nuovamente ammessi nella sinagoga, dovevano dichiarare pubblicamente che: Gesù non era il Figliuolo di Dio, il Suo sangue era stato sparso come quello di un comune malfattore, i Suoi miracoli venivano operati per la potenza del Maligno. Tutto questo è implicito in Ebrei 10:29. Che si insistesse su tale ripudio è provato dal caso, in tempo più recente, di un ebreo cristiano in Germania il quale, desiderando ritornare alla sinagoga, non venne accettato perché voleva attenersi ad alcune delle verità contenute nel Nuovo Testamento. I cristiani a cui è indirizzata l'epistola agli Ebrei appartenevano alla nazione che aveva crocifisso Cristo; ritornare alla sinagoga avrebbe significato crocifiggere nuovamente, a loro stessi, il Figliuolo di Dio ed esporLo a vituperio; sarebbe stato il terribile peccato dell'apostasia (Ebrei 6:6), sarebbe stato come il peccato a morte per il quale non vi è perdono. Colui che fosse divenuto così indurito da commetterlo non avrebbe potuto «essere rinnovato a penitenza», ma sarebbe stato degno di una punizione peggiore della morte (Ebrei 10:28), sarebbe incorso nell'ira dell'Iddio vivente (Ebrei 10:30,31). Non è detto che qualcuno di quegli ebrei cristiani sia arrivato a tal punto; infatti lo scrittore è «persuaso di cose migliori» riguardo a loro (Ebrei 6:9). Comunque, se il terribile peccato dell'apostasia da parte dei salvati non fosse stato almeno remotamente possibile, tutti questi ammonimenti non avrebbero avuto senso. Leggi I Corinzi 10:1-12. I Corinzi si erano vantati della loro libertà cristiana e di possedere dei doni spirituali; nondimeno molti di loro vivevano ad un livello molto basso. Essi, evidentemente, confidavano nella loro «posizione» e nei privilegi dell'Evangelo. Paolo li ammonisce che, a causa del peccato, i privilegi si possono anche perdere e cita l'esempio degli Israeliti. Gli Israeliti erano stati liberati in modo soprannaturale dalla terra d'Egitto per mezzo di Mosè e, di conseguenza, accettarono Mosè come loro guida alla Terra Promessa: il loro passaggio nel Mar Rosso fu un segno del loro abbandonarsi alla sua guida. Durante il viaggio, essi furono adombrati dai simboli soprannaturali della presenza di Dio, la nuvola e il fuoco, che li guidavano; inoltre, dopo averli tratti fuori dall'Egitto, Dio li sostenne con cibo e bevanda provveduti in modo soprannaturale. Tutto questo significava che gli Israeliti erano nella grazia, cioè nel favore di Dio ed in comunione con Lui. Ma «una volta in grazia sempre in grazia» non si avverò per loro; perché la strada fu segnata dalle tombe di coloro che furono colpiti per i mormorii, la ribellione e l'idolatria. Il peccato spezzò la loro comunione con Dio e, di conseguenza, scaddero dalla grazia. Paolo dichiara che questi avvenimenti sono stati scritti per mettere in guardia i cristiani dalla possibilità di perdere, attraverso il peccato, i più elevati privilegi celesti. |