5. Il mezzo per la Giustificazione: la fede

Poiché la legge non può giustificare, l'unica speranza dell'uomo è la «giustizia senza la legge» (non una giustizia illegale, o una religione che ci permetta di peccare, ma un cambiamento di posizione e di condizione). Questa giustizia è la «giustizia di Dio», cioè una giustizia impartita da Dio; essa è un dono, perché l'uomo non ha la capacità di svilupparla (Efesini 2:8-10).

Un dono deve essere accettato. In qual modo viene accettato il dono della giustizia? Ovvero, per parlare con un linguaggio teologico: qual è lo strumento che si appropria della giustizia di Cristo? Risposta: «La fede in Gesù Cristo». La fede è la mano, figuratamente parlando, che prende ciò che Dio offre. Dai seguenti versetti si potrà vedere che la fede è la causa strumentale della giustificazione (Romani 3:22; Romani 4:11; Romani 9:30; Ebrei 11:7; Filippesi 3:9).

Attraverso un certo mezzo vengono comunicati i meriti di Cristo al credente. Questo mezzo deve essere divinamente fissato, poiché deve convogliare ciò che Dio stesso, e Lui solo, dispensa. Questo mezzo è la fede, il principio del quale la grazia di Dio fa uso per ripristinare in noi la Sua immagine e ristabilirci nel Suo favore. L'anima, infatti, ha bisogno di un cambiamento completo, sia agli occhi di Dio che ai propri; il cambiamento agli occhi di Dio si chiama giustificazione, mentre il cambiamento spirituale ed interiore, che segue, è la rigenerazione per lo Spirito Santo generalmente compiuta in relazione alla Parola. La fede afferra la promessa di Dio e si appropria della salvezza; porta l'anima a riposare in Cristo, perché Lo accetta come suo Salvatore e come il sacrificio offerto per i peccati; infonde pace alla coscienza, insieme alla speranza consolatrice del cielo e, infine, essendo vivente e spirituale, abbonda in buone opere di ogni specie.

«Poiché gli è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non vien da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù d'opere, affinché niuno si glori» (Efesini 2:8,9). L'uomo non aveva la benché minima possibilità di acquistare la sua giustificazione perché: Dio non poteva scendere a ciò che l'uomo poteva offrire; l'uomo non poteva dare ciò che Dio gli chiedeva. Pertanto Dio, nella Sua benignità, salvò l'uomo «gratuitamente, per la Sua grazia». Questa grazia gratuita si riceve per fede. Non vi è merito in questa fede, come non vi è merito in un mendicante che stende la mano per ricevere l'elemosina. Questo metodo dà un colpo alla dignità dell'uomo, ma dinanzi a Dio, l'uomo caduto non ha dignità; egli non ha la capacità di accumulare meriti sufficienti per comprarsi la salvezza: «Per le opere della legge nessuno sarà giustificato» (Romani. 3:20).

La dottrina della giustificazione per la grazia di Dio, attuata attraverso la fede dell'uomo, rimuove due pericoli: primo, l'orgoglio della propria giustificazione e dei propri sforzi; secondo, il timore di essere troppo deboli per essere giustificati.

Se la fede non è un merito, essendo solo lo stendere della mano per ricevere la gratuita grazia di Dio, che cos'è che le dà potenza? E quale garanzia offre che colui che ha ricevuto il dono vivrà una vita giusta? La fede è importante e potente perché unisce l'anima a Cristo; in quel l'unione si trova il motivo e la potenza per vivere una vita di giustizia «Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... E quelli che son di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze» (Galati 3:27; Galati 5:24).

La fede non riceve solo passivamente, ma usa anche attivamente ciò che Dio dà. E una questione del cuore (Romani 10:9,10; cfr. Matteo 15:19; Proverbi 4:23): credere con il cuore significa coinvolgere tutti i sentimenti, gli affetti e i desideri nella risposta all'offerta divina di salvezza. Per la fede, Cristo abita nel cuore (Efesini 3:17). La fede costituisce, dunque, un principio energetico ed un'attitudine ricettiva ed è un potente motivo per ubbidire a Dio e compiere ogni altra buona opera. La fede implica la volontà ed è connessa a tutte le buone scelte e a tutte le buone azioni, perché «tutto quel che non vien da convinzione è peccato» (Romani 14:23). Comporta la ricerca e la scelta della verità (II Tessalonicesi 2:12) ed implica sottomissione alla giustizia di Dio (Romani 10:3).

Quello che segue è l'insegnamento scritturale intorno alla relazione tra la fede e le opere. La fede si oppone alle opere, quando per opere si intendono delle buone azioni sulle quali l'individuo possa fare assegnamento per la propria salvezza (Galati 3:11). Però una fede vivente produrrà opere degne di essa (Giacomo 2:26), come un albero vivente produce frutto. La fede è manifestata e provata dalle opere (Giacomo 2:18), come la buona condizione delle radici di un albero è indicata dal suo frutto; è resa perfetta nelle opere (Giacomo 2:22), come il bocciolo è completato dal fiore; in sintesi, le opere sono il risultato della fede, la prova della fede e la consumazione della fede.

Si è pensato che vi fosse una contraddizione tra l'insegnamento di Paolo e quello di Giacomo, in quanto sembra che il primo insegni che si è giustificati per fede, il secondo che si è giustificati per le opere (cfr. Romani 3:20 e Giacomo 2:14-26). L'esatta comprensione del senso nel quale i due usano questi termini, dissiperà le apparenti difficoltà. Paolo esalta la fede vivente che confida in Dio solo; Giacomo biasima la fede formale e morta, che è un semplice riconoscimento intellettuale, Paolo rigetta le opere morte della legge, ossia le opere senza la fede; Giacomo esalta le opere viventi che mostrano che la fede è vitale. La giustificazione di cui parla Paolo si riferisce all'inizio della vita cristiana; Giacomo usa la parola per indicare quella vita di ubbidienza e di santità che dà la prova esteriore che l'individuo è salvato. Paolo combatte il legalismo e la confidanza nelle buone opere per essere salvati; Giacomo combatte l'antinomianismo, ossia la dottrina che non dà importanza al modo nel quale l'individuo vive, purché creda. Paolo e Giacomo non sono due guerrieri che si combattono vicendevolmente; essi stanno invece schiena a schiena per affrontare nemici che avanzano da direzioni opposte.