a. I sacrifici dell'Antico Testamento erano buoni

Altrimenti non sarebbero stati ordinati da Dio. Essi erano buoni in quanto servivano ad un certo fine nel piano divino, cioè erano un mezzo dato dalla misericordia di Dio col quale chi avesse peccato, fra il popolo di Yahwê(h), poteva essere ristabilito nello stato di grazia e, riconciliato con Dio, continuare a godere della sua comunione. Quando l'israelita aveva fedelmente adempiuto alle condizioni prescritte, poteva riposare sulla promessa: «Così il sacerdote farà l'espiazione del peccato di lui, e gli sarà perdonato» (Levitico 4:26).

Quando gli Israeliti, perlomeno quelli dotati di maggior sapienza, portavano la loro offerta, si rendevano conto di due cose che il ravvedimento in sé era insufficiente, doveva essere compiuto un rito (Ebrei 9:22); d'altro canto avevano appreso dai profeti che il ritualismo, senza la giusta disposizione di cuore, era una formalità che non aveva valore. L'atto del sacrificio doveva essere un atto esteriore, ma espressione dell'interiore sacrificio di lode, di preghiera, di giustizia e di ubbidienza: sacrificio di un cuore rotto e contrito (cfr. Salmo 26:6; Salmo 50:12-14; Salmo 4:5; Salmo 51:16; Proverbi 21:3; Amos 5:21-24; Michea 6:6-8; Isaia 1:11-17). «Il sacrifizio (sacrificio cruento) degli empi è in abominio all'Eterno». dichiara Salomone (Proverbi 15:8). Lo scrittore ispirato mise in chiaro che i riti non ispirati dal dovuto sentimento erano delle devozioni inaccettabili.