2. Punizione sicura

«Nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai» (Genesi 2:17). «Il salario del peccato è la morte» (Romani 6:23).

L'uomo fu creato per l'immortalità; non sarebbe morto se avesse ubbidito alla legge di Dio. Affinché potesse «tenersi stretto» all'immortalità ed alla vita eterna, tu posto sotto un patto raffigurato da due alberi: l'albero della conoscenza del bene e del male e l'albero della vita. La vita fu così subordinata all'ubbidienza: finché Adamo osservò la legge della vita, ebbe diritto all'albero della vita. Ma egli disubbidì, violò il patto della vita, e si trovò separato da Dio, la fonte della Vita.

Da quel momento ebbe inizio la morte, che fu consumata con la rottura della personalità, sotto forma di separazione dell'anima dal corpo. Ma notate, la punizione comprendeva più della morte fisica: il dissolvimento fisico era un'indicazione del rammarico di Dio per il fatto che l'uomo non era più a contatto con la Fonte della Vita. Per quanto Adamo possa essersi, in seguito, riconciliato con il suo Creatore, la morte fisica continuò ad esistere conformemente all'ordine divino: «Nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai». Solo attraverso un atto di redenzione e di nuova creazione, l'uomo avrebbe avuto ancora diritto all'albero della vita che è nel mezzo del paradiso di Dio; attraverso Cristo, la giustizia viene ridata all'anima che, alla risurrezione, si unirà ad un corpo glorificato.

Vediamo, dunque, che la morte fisica entrò nell'ordine del mondo come una punizione e le Scritture, ogni qualvolta parlano di morte come punizione del peccato, intendono riferirsi principalmente alla perdita del favore di Dio. Pertanto, chi è nel peccato è già morto spiritualmente e, al momento della morte fisica, entra nel mondo invisibile in tale condizione. Poi, al Giudizio, il Giudice pronuncerà la sentenza della seconda morte, che comporterà indignazione ed ira, tribolazione ed angoscia (Romani 2:7-12). Pertanto la «morte», come punizione, non è l'estinzione della personalità, ma la separazione da Dio. Vi sono tre fasi: la morte spirituale, in atto durante la vita terrena dell'uomo (Efesini 2:1; I Timoteo 5:6); la morte fisica (Ebrei 9:27); la morte seconda o eterna (Apocalisse 21:8; Giovanni 5:28,29; II Tessalonicesi 1:9; Matteo 25:41).

Per contro, quando le Scritture parlano di vita come ricompensa alla giustizia, si intende qualcosa di più che la semplice esistenza, perché anche l'empio esiste all'inferno. Vita significa vivere in comunione con Dio, una comunione che la morte non può interrompere né distruggere (Giovanni 11:25,26). È una vita vissuta in consapevole comunione con Dio, la Fonte della Vita: «E questa è la vita eterna: che conoscano (in esperienza e comunione) te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo» (Giovanni 17:3). La vita eterna è la vera esistenza, la morte eterna è la errata esistenza, l'esistenza misera e spregevole.

Notate che la parola «distruzione», usata in relazione alla sorte degli empi (Matteo 7:13; Giovanni 17:12; II Tessalonicesi 2:3), non significa estinzione. Perire o esser distrutti (nella lingua greca) non significa essere estinti, ma essere rovinati. Ad esempio, l'espressione «gli otri perdono» (Matteo 9:17) significa che essi non sono più buoni come otri, non che vengano distrutti. Così il peccatore che perisce, non viene ridotto al nulla, ma è rovinato per quanto riguarda il godimento di Dio e la vita eterna. Oggi si segue lo stesso criterio quando si dice: «la sua vita è rovinata»; con ciò non vogliamo dire che quell'uomo è morto, ma che non ha raggiunto il vero scopo della vita.