d. L'anima e il peccato L'anima vive la sua vita naturale attraverso ciò che, non avendo a nostra disposizione un termine migliore, chiameremo gli istinti. Gli istinti sono le forze propulsive della personalità, delle quali il Creatore ha dotato l'uomo per renderlo adatto ad un'esistenza terrena (come lo ha dotato di facoltà spirituali per renderlo adatto all'esistenza celeste). Li chiamiamo istinti, perché sono impulsi innati, posti nelle creature per permettere loro di fare istintivamente ciò che è necessario a dare origine e preservare la vita naturale. Il Dott. Leander Keyser scrive: Se il bambino non avesse certi istinti fin dall'inizio, non potrebbe sopravvivere, neanche se ricevesse le cure più appropriate dai genitori e dai medici. Ecco di seguito i cinque istinti più importanti: L'istinto di conservazione, che ci mette in guardia contro il pericolo e ci induce ad aver cura di noi stessi. L'istinto di possesso, che ci spinge a procurarci ciò che è necessario. L'istinto della nutrizione, un impulso che ci porta a soddisfare la fame. L'istinto della riproduzione, che porta alla perpetuazione della specie. L'istinto di conquista, che spinge all'autoaffermazione per esercitare la propria vocazione e le proprie responsabilità. La descrizione della dotazione dell'uomo, da parte del Creatore, di questi istinti si trova nei primi due capitoli della Genesi. L'istinto della conservazione è implicito nella proibizione e nell'avvertimento: «Ma del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché, nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai» (Genesi 2:17). Lo spirito del possesso è evidente in Adamo, quando riceve dalla mano di Dio il bel giardino di Eden. L'istinto della nutrizione si desume dalle parole: «Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, ed ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento» (Genesi 1:29). L'istinto della riproduzione si rileva dal verso: «...li creò maschio e femmina. E Dio li benedisse; e Dio disse loro: Crescete e moltiplicate» (Genesi 1:27,28). Il quinto istinto, quello di conquista, è implicito nel comandamento: «...riempite la terra, e rendetevela soggetta, e dominate» (Genesi 1:28). Dio ordinò che le creature inferiori fossero governate principalmente dall'istinto, ma l'uomo è stato onorato con il dono della libera volontà e della ragione, con i quali disciplinare se stesso e divenire arbitro del suo destino. Come guida per il regolamento delle facoltà dell'uomo, stabilì una legge. La comprensione, legge, parte dell'uomo, di questa legge produsse una coscienza, che letteralmente significa «conoscenza con consapevolezza». Quando l'uomo udì la legge, ebbe una coscienza istruita; quando disubbidì a Dio, soffrì per la coscienza che lo accusava. Nel racconto della tentazione (Genesi 3), leggiamo come l'uomo cedette alla concupiscenza degli occhi, alla concupiscenza della carne, alla superbia della vita (I Giovanni 2:16) e usò le sue facoltà contro Dio. L'anima, consapevolmente e volontariamente, usò il corpo per peccare contro Dio. Questa combinazione di un'anima peccatrice con un corpo umano costituì ciò che si conosce come «il corpo del peccato» (Romani 6:6) o la «carne» (Galati 5:24); l'inclinazione ed il desiderio dell'anima di usare così il corpo, viene descritto come la «mente carnale» (Romani 8:7). Poiché l'uomo ha peccato con il corpo, sarà giudicato secondo «le cose fatte nel corpo» (II Corinzi 5:10); questo prevede una risurrezione (Giovanni 5:28,29). Quando la «carne» è condannata, il riferimento non è al corpo materiale (i tessuti materiali non possono peccare), ma al corpo come viene usato dall'anima che pecca. È l'anima che pecca. Se tagliate la lingua ad un maldicente, egli sarà sempre maldicente; tagliate la mano ad un ladro, ed egli sarà ancora ladro nel cuore. Sono gli impulsi peccaminosi dell'anima che devono essere tagliati, e questa è l'opera svolta dallo Spirito Santo (cfr. Colossesi 3:5; Romani 8:13). La «carne» può essere definita la somma totale degli istinti umani, non quali vennero originariamente dalle mani del Creatore, ma contorti e resi anormali dal peccato. È la natura umana nella sua condizione di peccato, indebolita e disorganizzata dall'eredità derivata da Adamo e pervertita dagli atti peccaminosi. Rappresenta la natura umana non rigenerata, la cui debolezza è stata frequentemente scusata con le parole: «Dopo tutto è la natura umana». L'essenza del peccato è il pervertimento degli istinti e delle facoltà date da Dio. Ad esempio, l'egoismo, la suscettibilità, la gelosia e la collera sono il pervertimento dell'istinto di conservazione. Il furto e la concupiscenza sono la perversione dell'istinto dell'acquisizione; «non rubare» e «non concupire» significano: «Non pervertire l'istinto dell'acquisizione». La ghiottoneria è il pervertimento dell'istinto che porta alla ricerca del nutrimento ed è, quindi, peccato. L'impurità è il pervertimento dell'istinto della riproduzione. La tirannia, l'ingiustizia, l'umore rissoso rappresentano degli abusi dell'istinto del predominio. Pertanto, vediamo che il peccato è fondamentalmente l'abuso o il pervertimento delle forze delle quali Dio ci ha dotati. Notate le conseguenze di questi pervertimenti: prima, una coscienza colpevole dice all'uomo che ha disonorato il suo Fattore e lo avverte di una terribile punizione; seconda conseguenza, la perversione degli istinti reagisce contro l'anima, indebolendo la volontà, suscitando e fortificando cattive abitudini, creando cattive disposizioni. Paolo cataloga i sintomi di questa curvatura dell'anima (una delle parole ebraiche usate per indicare il peccato significa letteralmente «curvatura») in Galati 5:19-21: «Or le opere della carne sono manifeste, e sono fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sette, invidie, ubriachezze, gozzoviglie e altre simili cose». Paolo considera queste cose così gravi che aggiunge le parole: «Quelli che fanno tali cose non erederanno il regno di Dio». Sotto la colpa e la potenza del peccato, l'anima è «morta nei falli e nei peccati» (Efesini 2:1). Situata tra il corpo e lo spirito, fra l'alto e il basso, fra il terreno e lo spirituale, essa ha fatto una cattiva scelta, una scelta che non ha portato un profitto, ma una perdita eterna (Matteo 16:26); essa ha fatto il cattivo affare di Esaù, ossia il baratto di una benedizione spirituale con qualche cosa di terreno e perituro (Ebrei 12:16). All'atto della morte, quell'anima passerà all'altro mondo «macchiata dalla carne» (Giuda 1:23). Ma vi è un doppio rimedio: per la colpa e per la potenza del peccato. 1. Poiché il peccato è un'offesa contro Dio, è necessario un rimedio per rimuovere la colpa e purificare la coscienza. Dio ha provveduto il sangue di Gesù Cristo. 2. Poiché il peccato porta la malattia all'anima e il disordine nell'essere umano, è necessaria una potenza guaritrice e correttiva. Questa potenza è provveduta dall'opera interiore compiuta dallo Spirito Santo, che addirizza la stortura e la «curvatura» della nostra natura e mette in moto le forze della nostra vita nella direzione giusta. I risultati (frutti) sono: «amore, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza» (Galati 5:22,23). In altre parole, lo Spirito Santo ci rende giusti, parola che in ebraico significa letteralmente «diritti» (il peccato è la stortura dell'anima, la giustizia è la sua dirittura). |