Il cuore: un terreno da lavorare e da custodire per portare frutto gradito a Dio

 

Introduzione

(Rif.: Matteo 13:1-23; Marco 4:1-20; Luca 8:4-15)

I vangeli riportano la parabola del seminatore che Gesù raccontò ai suoi discepoli. Il Signore Gesù usava spesso raccontare le verità del regno dei cieli facendo uso di parabole mediante l’utilizzo di esperienze tratte dalla vita quotidiana per renderne più facile la comprensione.

La parabola riporta la scena di un uomo che va a seminare. Il seme sparso cade su terreni diversi: una parte del seme finisce sulla strada battuta dove si cammina sopra, un’altra cade in un terreno roccioso, un’altra cade tra le spine, e un’altra cade su un terreno ben lavorato adatto alla semina.

Il seme finito sulla strada, subito, finisce per essere mangiato dagli uccelli perché essendo una strada calpestata dall’uomo non è di conseguenza destinata ad essere seminata e quindi il seme non viene coperto dalla terra e finisce così per rimanere esposto. Il seme caduto sul terreno roccioso inizialmente germoglia mettendo radice ma non avendo terreno per radicare in profondità finisce presto per risentire del calore del sole e quindi si secca fino a morire. Il seme caduto tra le spine germoglia e cresce ma insieme a esso crescono anche le spine attorno a lui che finiscono per avere il sopravvento fino a soffocarlo. In ultimo, il seme caduto sul terreno destinato alla semina viene ben coperto e, germogliando, cresce fino a portare a suo tempo frutto.

È giusto fare un’importante precisazione: nessuno si metterebbe a seminare su un terreno che non è adatto per la semina quindi non avrebbe senso spargere il seme su una strada battuta, su un terreno roccioso o tra le spine. Con questa parabola il Signore vuole sottolineare la risposta del cuore dell'uomo alla parola dell’evangelo: la parola dell’evangelo è rivolta da Dio al cuore dell'uomo con il proposito di portare frutto di vita eterna ma la disposizione del suo cuore nei confronti di questa Parola determina il risultato di quel seme nella sua vita. La Parola di Dio ha la potenzialità, come un seme, di portare frutto nella vita di ogni uomo ma, come accade per il seme, essa potrà farlo solo se ci saranno le condizioni ottimali: non basta che cada sulla terra ma è necessario che questa terra sia dissodata in modo che il seme trovi terreno morbido dove poter dimorare per germogliare, profondo dove poter radicare e avere umidità, e libero da erbacce dove poter elevarsi liberamente.      

Il Signore, nello spiegare la parabola ai suoi discepoli, insegna che il seme caduto sulla strada e che finisce per essere mangiato dagli uccelli rappresenta quell’uomo che ricevendo il messaggio dell'evangelo indurisce il suo cuore per incredulità senza aver premura di esaminare la Parola e come conseguenza Satana provvede a far sparire ogni traccia di essa. Il seme caduto sul terreno roccioso rappresenta quell’uomo che inizialmente accoglie con gioia il messaggio dell'evangelo ma le difficoltà legate ad essere un discepolo di Cristo lo allontanano dalla fede e di conseguenza pian piano finisce per perdere quello zelo iniziale fino, nel caso peggiore, ad allontanarsi dalla fede ritornando alla vita precedente. Il seme caduto tra le spine rappresenta quell’uomo che dopo aver accolto il messaggio dell'evangelo si lascia pian piano sedurre dagli impegni del mondo i quali diventano le sue priorità finendo per vivere una fede che rappresenta più un’adesione intellettuale ai principi evangelici piuttosto che una costante comunione con Dio e una vita vissuta praticamente in accordo a tali principi. Infine, il seme caduto sul buon terreno rappresenta quell’uomo che una volta accolto il messaggio dell'evangelo si impegna a vivere una vita in accordo agli insegnamenti di Cristo non lasciandosi scoraggiare dalle difficoltà che comporta essere discepoli di Gesù e vigilando sulla sua vita mettendo al primo posto le cose di Dio con l’interesse di portare frutto alla Sua gloria. In sostanza, l’uomo determina quale figura della parabola sarà la sua vita in relazione alla sua risposta iniziale e quotidiana al messaggio dell'evangelo.

 

 

La genesi del cuore

(Rif.: Genesi 2,3)

Il libro della Genesi, alla creazione, racconta che Dio dopo aver creato l’uomo gli affida il compito di lavorare e custodire un giardino posto in una regione chiamata Eden. Questo giardino era un vero e proprio luogo di delizie (la parola Eden è tradotta dall’ebraico come “piaceri”, “delizie”) in quanto Dio aveva fatto spuntare alberi di ogni tipo, belli da vedersi e buoni per nutrirsi. Questo giardino era inoltre irrigato da un fiume che lo attraversava e che ne garantiva la fertilità.

Tra gli alberi presenti nel giardino, al centro dello stesso, c’erano l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male e, riguardo a quest’ultimo, Dio aveva espressamente vietato all’uomo di mangiarne perché nel momento in cui l’avrebbe fatto sarebbe morto. Purtroppo, come è noto, l’uomo e la donna si lasciarono sedurre da Satana finendo per mangiare il frutto dell'albero. Come conseguenza di ciò l’uomo morì secondo la parola che Dio aveva detto. Questa morte però non va intesa come fine della vita perché dopo aver mangiato il frutto l’uomo e la donna continuarono a vivere; ma va intesa nel senso proprio del termine e cioè di “separazione” tra Dio e l’uomo. Nonostante ciò la morte fisica è comunque una conseguenza del peccato e non qualcosa stabilita da Dio all’atto della creazione, infatti la morte non era nel piano originario di Dio perché Egli è il Signore della vita e di conseguenza la morte è contraria al Suo essere. Perciò oggi la malattia e la corruzione, intesa come degradazione di quell’ordine perfetto delle cose che interessano ogni aspetto del creato, che producono sofferenza e in seguito morte sono la conseguenza del peccato. A causa della sua disubbidienza l’uomo fu scacciato dal giardino dell’Eden e costretto a lavorare una terra ora maledetta dove con affanno se ne sarebbero raccolti i frutti con spine e rovi a renderne difficile il lavoro.

Detto ciò, prima dell'ingresso del peccato nel mondo, il cuore dell’uomo lo si può raffigurare al giardino dell’Eden: un luogo benedetto dove il frutto era buono e le spine e i rovi non avevano posto in esso, e reso fertile dalla continua comunione con Dio che ne garantiva la vita. Infatti quando Dio creò l’uomo lo creò con un cuore puro incapace di concepire il male ma soltanto il bene. Ma con l’ingresso del peccato nel mondo il cuore fu capace di concepire il male e diventare così un terreno maledetto capace di produrre spine e rovi, difficile da lavorare e con fatica capace di produrre frutti buoni. Come conseguenza quella comunione intima con Dio si perse e fu ripristinata solamente per mezzo del sacrificio di Gesù Cristo sulla croce. Infatti la Bibbia dice che noi siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte di Gesù e quando si parla di riconciliazione si intende il ristabilimento di un rapporto iniziale che è stato temporaneamente rovinato. Quindi c’era un rapporto iniziale che l’uomo aveva con Dio ma il peccato l’aveva rovinato ma che è stato ristabilito grazie al sacrificio di Gesù. Adesso grazie a Gesù abbiamo pace con Dio.

Perciò quando l’uomo accoglie il messaggio dell'evangelo e, lasciandosi convincere dallo Spirito Santo, si ravvede del suo peccato  e accetta il sacrificio di Cristo sperimenta quella che la Bibbia chiama nuova nascita. La nuova nascita rappresenta la rinascita spirituale dell'uomo il cui spirito morto a causa del peccato viene vivificato per l’opera di rinnovamento e rigenerazione dello Spirito Santo. È come se Dio dissodasse il cuore dell'uomo rivoltandolo e rompendolo fino a liberarlo da tutto ciò che lo contaminava per renderlo adatto a ricevere il seme della Sua Parola e irrigandolo con la costante presenza del Suo Santo Spirito per ritornare così ad essere capace di portare come al principio il frutto buono.

 

Un lavoro importante da svolgere

Ma come fu per Adamo nel principio al quale Dio affidò il lavoro e la custodia del giardino così anche all’uomo rigenerato viene affidata da Dio la responsabilità di lavorare e di essere custode del suo cuore.  È quel giardino che l’uomo deve lavorare e custodire, come la Bibbia infatti esorta dicendo: Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione (2 Pietro 1:10); Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita (Proverbi 4:23). Perché così come nel principio Satana sedusse Adamo facendolo cadere in peccato ancora verrà per sedurre il credente col fine di sviarlo dalla sua responsabilità verso il suo cuore lasciandolo così abbandonato e incustodito. È necessario perciò che ci si prenda cura del seme della Parola che Dio ha piantato nel cuore del credente affinché a suo tempo il Signore possa raccoglierne i frutti. Come accade per un terreno che un contadino ha seminato i principali nemici alla buona riuscita del frutto sono rappresentati da: i ladri, le bestie selvatiche e le erbacce.

 

I ladri possono rappresentare tutte quelle attività che impediscono di dare la giusta importanza alle cose del Signore. Ogni persona sente quotidianamente la necessità di dedicare del tempo per fare delle cose ma accade spesso che ci si lascia coinvolgere così tanto da non riuscire a trovare il tempo per coltivare il rapporto con il Signore. Molte cose da fare sono lecite come la famiglia e il lavoro ma per quanto siano importanti a volte si finisce per ritenere questi doveri più importanti dal dovere verso il Signore. Questo non significa che bisogna dare meno importanza alla famiglia o al lavoro ma di ritenere più importante il Signore rispetto a queste cose. In sostanza non si tratta di far scendere la famiglia o il lavoro di qualche gradino sulla scala dell'importanza per trovarsi sotto al Signore ma di far si che salendo queste cose sulla scala dell'importanza il Signore si trovi sempre al di sopra. Tante altre cose, invece, seppur lecite, sono di importanza secondaria e quindi rimandabili ma si finisce per considerarle di primaria importanza impegnando la persona più del dovuto. È importante quindi che il credente non si lasci rubare il frutto aprendo il suo cuore a ciò che è più importante per lui e non per Dio perciò deve considerare l’importanza di offrire quotidianamente un tempo al Signore ma non solamente quando si trova il tempo di farlo ma la decisa volontà di farlo come offerta di primizia. Questo riguarda sia il rapporto personale del credente con il Signore ma anche il rapporto comunitario. La crescita spirituale del credente dipende molto dalla comunione che ha con il Signore attraverso la preghiera e la meditazione della Sua Parola. Trascurare la comunione con il Signore porta il credente a rimanere sempre bambino nelle cose di Dio con la conseguenza che il suo cuore si riempie più delle cose del mondo che di quelle di Dio diventando pigro e ozioso, incapace di portare frutto. Altrettanto importante alla crescita del credente è la comunione con la chiesa. Essere partecipi alla vita di chiesa è importante perché il credente è utile all’edificazione della chiesa solamente se è membro del Corpo. La comunione fraterna va ricercata perché il Signore benedice la chiesa riunita e si compiace di vedere che i Suoi figli si riuniscono insieme alla Sua presenza. È come un padre che in occasione di un evento importante desidera avere tutti i suoi figli riuniti insieme alla sua tavola: e il tempo da vivere come chiesa è qualcosa da non sottovalutare. Spesso si nota che quasi ci si lamenta che una comunità è poco attiva, disordinata, povera spiritualmente, disunita. Se tutti i membri della comunità si impegnassero ciascuno a dare il proprio contributo la comunità sarebbe una comunità unita, ricca spiritualmente, ordinata e attiva. Se la partecipazione alla vita di chiesa e il  contributo come membro del Corpo è assente non ci si può lamentare se la chiesa non cresce perché così facendo si sta contribuendo affinché le cose rimangono tali.

 

Le bestie selvatiche possono rappresentare quelle persone che con la loro influenza negativa sono capaci di portare disordine e rovina nella vita del credente. Queste persone non sono solamente i non credenti, i quali non conoscono Dio e vivono secondo il pensiero del mondo, ma possono essere anche credenti che vivono disordinatamente.

Per quanto riguarda i non credenti, essi non conoscendo il Signore, vivono secondo la mentalità del mondo che è una mentalità rivolta alla dissolutezza e alle passioni della carne. Ciò non significa che il credente non deve intrattenere relazioni con i non credenti altrimenti dovrebbe uscire dal mondo. Il credente è nel mondo ma non è del mondo: infatti appartiene a Dio che l’ha riscattato a caro prezzo mediante il sangue di Gesù per essere libero di servirlo e fare da ambasciatore per Lui. Perciò il credente ha la responsabilità di portare al mondo la Parola del Regno a cui adesso appartiene che è una parola di riconciliazione che esorta il mondo a riconciliarsi con Dio. Quindi è indispensabile vivere in mezzo ai non credenti perché la Chiesa, e quindi ogni singolo credente, è luce e sale di questo mondo. Quello che è importante è discernere che tipo di relazioni intrattenere con i non credenti. Portare rispetto per una persona non credente non significa dover approvarla in ogni cosa: infatti l’amicizia con le persone non credenti può essere una amicizia vera che rispetta la persona ma che deve essere lontana dal partecipare a ciò che il credente sa che è contro il volere di Dio. Se per avere l’approvazione di una persona ci si lascia trascinare nel peccato allora si sta lasciando spazio a questa persona di portare disordine e rovina nel proprio cuore e come bestie selvatiche calpestano, rovinano e divorano il frutto perché si è lasciato incustodito il terreno. Così facendo si preferisce l’amicizia del mondo a quella di Dio, e la Scrittura dice in proposito: non sapete che l'amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio (Giacomo 4:4). Ma il credente è chiamato a vivere non secondo la carne ma secondo lo Spirito, quindi se le persone non credenti tendono a spingere il credente a peccare allora è necessario che si ritiri e non partecipare alle loro opere anche se ciò dovesse significare perdere un’amicizia. La Scrittura esorta: Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele? E che armonia c'è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio: «Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'impuro; e io vi accoglierò. E sarò per voi come un padre e voi sarete come figli e figlie», dice il Signore onnipotente (2 Corinzi 6:14-18).

Per quanto riguarda i credenti, invece, ci si riferisce in particolare a quelle persone che si comportano disordinatamente. Se un credente antepone il suo interesse a quello della chiesa, se si ribella non rispettando le autorità stabilite da Dio, se vive carnalmente e non in armonia al carattere di Cristo, bisogna essere cauti verso un tale credente soprattutto se è stato esortato diverse volte a comportarsi ordinatamente  ma ha continuato a perseverare nel disordine. A volte molti credenti disordinati vengono visti da altri credenti come una specie di “rivoluzionari”  a causa del loro carattere, apparentemente, “carismatico” e “zelante”, capaci di portare una svolta positiva nell’ambito della comunità. La Scrittura dice: Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo (1 Giovanni 4:1); la Parola ci esorta quindi a discernere gli spiriti e cioè capire quale spirito sta animando la persona. Una persona che, per quanto convincente possa essere nel suo proposito di portare un rinnovamento, provoca invece divisione in seno alla comunità non è da Dio perché lo Spirito Santo spinge i credenti all’unità e non alla divisione. Quindi bisogna stare attenti a quelle persone che per spirito di parte o per vanagloria portano disordine, per non andare dietro ad esse ma evitarle. Così dice infatti la Scrittura: Ammonisci l'uomo settario una volta e anche due; poi evitalo; sapendo che un tal uomo è traviato e pecca, condannandosi da sé (Tito 3:10-11). Ma se nonostante si è consapevoli che un credente si comporta disordinatamente e si continua comunque volontariamente a seguirlo allora si sta permettendo a questa persona di portare il suo disordine anche nel proprio cuore rischiando così di essere sedotti e di deviare dalla pietà del vangelo.

 

Le erbe infestanti rappresentano tutti quei sentimenti e pensieri negativi che spesso nascono nel cuore del credente. Il credente nato di nuovo non diventa perfettamente santo nel momento in cui accetta Cristo e quindi non significa che non pecca più ma comincia un cammino di santificazione che lo porta a conformarsi sempre di più all’immagine di Gesù. Il credente saggiamente deve provvedere ad allontanare subito certi pensieri per evitare che questi lo portano a peccare. Infatti chi ha seminato un terreno sa che deve lavorare per mantenerlo curato provvedendo ad estirpare quelle erbacce che crescono in mezzo al frutto non appena queste spuntano dalla terra perché se venissero trascurate e lasciate crescere metterebbero radici profonde rendendo difficile la loro estirpazione e poi, crescendo, finirebbero per soffocare la pianta buona limitandola della luce, dell’acqua e dello spazio necessario per crescere. Allo stesso modo quando nel proprio cuore nascono pensieri negativi si deve provvedere subito a eliminarli altrimenti se vengono lasciati indisturbati a crescere metteranno radice e sarà sempre più difficile estirparli, con la conseguenza che pregiudicheranno la crescita del frutto. La differenza principale tra la pianta dal frutto buono e la pianta infestante è che mentre per ottenere il frutto buono si deve provvedere a piantare specifici semi e prendersi cura del frutto fino al giorno della raccolta, le piante infestanti invece nascono spontaneamente da semi che sono già presenti nel terreno senza che nessuno ve l’abbia seminati. Questa figura rappresenta la natura del cuore dell'uomo il quale ha bisogno di un lavoro accurato e di una vigilanza continua affinché possa portare frutto buono e non venga infestato dalle erbacce. Infatti la Scrittura dice del cuore che esso è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno (Geremia 17:9). È vero che il Signore mediante l’opera dello Spirito Santo rinnova il cuore dell'uomo ma come per il giardino in Eden è affidata al credente la custodia e la cura.

Tra le piante infestanti si trovano: l’invidia, la gelosia, la vanagloria, l’orgoglio e il rancore.

L’invidia è quando si desidera avere ciò che il prossimo possiede. Il Signore quando diede i dieci comandamenti comandò di non desiderare le cose del prossimo ma purtroppo spesso il cuore del credente volge alle cose carnali e prova un sentimento di invidia per ciò che il prossimo possiede. Per evitare di cadere nella trappola dell’invidia basta ricordare che il cristiano non è considerato ricco sulla base di quanto ha di materiale ma è considerato ricco sulla base di quanto ha nel cuore. Il Signore disse: Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore (Matteo 6:19-21). Perciò se si brama di desiderare di possedere ciò che di materiale ha il prossimo il cuore si sta volgendo alle ricchezze del mondo per acquisire un tesoro corruttibile mentre se si brama di possedere ciò che Dio dona allora il cuore si sta volgendo alle ricchezze del cielo per avere un tesoro incorruttibile.

 

La gelosia è quando si possiede qualcosa e si prova fastidio che qualcun altro possa averla. Spesso la gelosia che sorge tra i credenti è legata a ciò che Dio elargisce tra i suoi figli. L’aver ricevuto da Dio benedizioni rende felici ma a volte questo porta a pensare che ciò che si è ricevuto da Dio ci pone in una posizione di privilegio rispetto agli altri e quando si vede che il Signore benedice il fratello questo provoca gelosia. Ma davanti a Dio, in Cristo, i credenti sono tutti suoi figli, amati allo stesso modo e quindi il Signore si compiace di benedire tutti. Provare gelosia per quello che Dio dona al fratello mette il credente in una condizione di irriconoscenza verso Dio perché è come se si dimentica la benedizione di Dio sulla propria vita e basa l’approvazione di Dio su quello che dona solo a se stesso. Questo sentimento si vince quando si inizia a vedere il fratello vicino come una persona che è stata da Dio accolta e che è grandemente amata, e quando allo stesso tempo si riconosce l’amore di Dio verso se stessi.

 

La vanagloria è quando il credente tutto ciò che fa lo fa per farsi vedere. La persona vanagloriosa mette il suo io al centro di tutto e desidera che tutta l’attenzione sia rivolta sempre su di lei. Ricerca continuamente l’apprezzamento da parte degli altri e non riesce a vivere senza la loro considerazione quindi tende a concentrare tutte le sue forze per far si che il suo operare sia noto e approvato al fine di ricevere elogi. In genere i credenti vanagloriosi sono quelle persone che mirano a ricoprire un ruolo di rilievo nella chiesa vantando apparenti carismi e non sono disposti a sottomettersi umilmente ai ministri di Dio. I vangeli ci riportano un episodio in cui i discepoli litigavano su chi fosse il maggiore tra di loro ma Gesù disse loro che chi vuole essere il maggiore di tutti si faccia servitore di tutti, e che è colui che si fa piccolo che è grande agli occhi di Dio (Cfr.: Marco 9:33-35; Luca 9:46-49). Quindi il Signore disapprova il sentimento di colui che si sente superiore agli altri e si adopera per servire il suo io piuttosto che il suo Dio. Infatti il credente vanaglorioso perde di vista lo scopo principale per il quale serve il Signore: tutto deve andare alla gloria di Dio.

 

L’orgoglio è quando una persona confida tanto in se stesso e ha un concetto della sua persona molto alto. Il credente orgoglioso è quello che spesso non ha l’umiltà di riconoscere i propri errori, non considerando la possibilità di trovarsi in fallo, quando questi gli vengono posti davanti, soprattutto se questo viene da credenti verso i quali ha una bassa considerazione. È una persona che non è nemmeno disposta ad accettare consigli perché non accetta l’idea che qualcuno possa dirgli il modo corretto in cui deve fare le cose: il pensiero di essere nell’errore non riesce ad accettarlo. La Scrittura condanna l’orgoglio mettendo in evidenza anche i pericoli: Dall'orgoglio non viene che contesa, ma la saggezza è con chi dà retta ai consigli (Proverbi13:10); Prima della rovina, il cuore dell'uomo s'innalza, ma l'umiltà precede la gloria (Proverbi 18:12); L'orgoglio abbassa l'uomo, ma chi è umile di spirito ottiene gloria (Proverbi 29:23).

 

Il rancore è quando una persona prova un risentimento verso un’altra. A volte questo nasce a causa di un torto che si subisce che genera insofferenza nel cuore e porta a volersi allontanare da quella persona. È vero che ogni persona ha un carattere diverso e c’è chi è più sensibile e chi meno a certe cose ma spesso le incomprensioni che nascono tra credenti sono dovute a cose di poco conto le quali sono facilmente risolvibili. Il modo per risolvere questi problemi consiste nel ricordarci che esiste un bene comune superiore a quello personale: l’unità del Corpo di Cristo come sta Scritto: vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace (Efesini 4:1-3). Altre volte invece i rancori nascono per la mancanza di amore nel cuore quando l’invidia, la gelosia, o semplicemente il non sopportare di vedere una determinata persona, porta a ricercare volontariamente la lontananza da quella persona. Questo comportamento denota un’immaturità spirituale nel credente il quale ha bisogno di essere nutrito ancora del latte spirituale e cioè ha bisogno di comprendere i primi elementi della Parola di Dio.

 

Conclusioni

Il Signore si aspetta fedeltà da parte del credente rigenerato nel custodire il cuore nuovo che gli ha donato affinché porti frutto. Perciò è necessario vigilare continuamente per impedire che gli impegni mondani, le persone negative e i sentimenti sbagliati lo rendano incapace di portare frutto a Dio.

Se il proprietario di un terreno, dopo aver delegato un servo a lavorarlo e a custodirlo, trova che questo servo è stato incapace di portare a termine il suo compito perché non trova i frutti sperati, come si comporterà nei suoi confronti? Quale sarà il suo salario? Allo stesso modo come reagirà il Signore quando vedrà che il credente non è stato capace di prendesi cura del suo cuore perché è stato infedele nel suo compito? Il Signore non sarà contento nel vedere che non si è trovato il frutto sperato.

Quindi ogni credente è chiamato ad impegnarsi per vigilare sul suo cuore affinché il Signore possa trovare in lui il frutto sperato e sentirsi dire dal Signore: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore".

 

Filippo Barba